4a settimana di Quaresima
Avvenne il 31 marzo…
1492 – Il re di Spagna Ferdinando firma il decreto di espulsione degli ebrei per le pressioni della Inquisizione.
1504 – Armistizio di Lione: il Regno di Napoli va alla Spagna e il Ducato di Milano va alla Francia.
1889 – A Parigi viene inaugurata la Torre Eiffel.
1966 – L’Unione Sovietica lancia Luna 10, il primo velivolo spaziale a entrare nell’orbita lunare.
1991 – Si scioglie il Patto di Varsavia.
Aforisma dal profeta Isaia 65
“Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare.”
Preghiera Colletta
O Dio, che rinnovi il mondo con i tuoi ineffabili sacramenti, fa’ che la Chiesa si edifichi con questi segni delle realtà del cielo e non resti priva del tuo aiuto per la vita terrena. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen
Parola di Dio Giovanni 3,43-54
Gesù partì [dalla Samaria] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete».
Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio.
Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.
Riflessione don Arturo Bellini
«Il Paradiso: motivi di speranza: il mondo nonostante le apparenze cammina verso il meglio». Don Giuseppe Vavassori (omelia 9 giugno 1960). Il Fondatore del Patronato fa riferimento a un testo di Gastone Courtois, edito nel 1953 e intitolato “L’ora di Gesù”. Cita espressamente il capitolo XX è dedicato al senso dell’eternità. «Molti nostri contemporanei – scrive Courtois – vengono travolti da turbine degli affari, del denaro o del cuore: il rumore sempre più assordante e la velocità frenetica li ubriacano. Come dice la Sacra: «non si riservano Scrittura più neanche il tempo di respirare».
Come possono ritrovare Dio, se non trovano più neanche se stessi? Come potrebbero avere il senso dell’eternità se il tempo diventa il loro implacabile tiranno che ne divora il pensiero e ne assorbe le energie? Capita talora in occasione dei morti o alla scomparsa d’un loro caro che furtivamente si ponga anche per loro la questione dell’aldilà, ma altri problemi non tardano a ghermirli, anche dopo una recentissima sepoltura…I giovani dicono: “ci sarà tempo per pensarci!”.
I vecchi smarriti nei loro ricordi non pensano che al passato e distolgono lo sguardo da quella scadenza ineluttabile e sovente vicina. Politica degli struzzi!». «Eppure – continua Courtois – la vita terrena non ha senso se non in riferimento all’eternità». Don Giuseppe Vavassori fissa lo sguardo sull’eternità per ricordare ai suoi ascoltatori che «il mondo nonostante le apparenze cammina verso il meglio». È un insegnamento di fede da riprendere.
La scorsa settimana ho riletto la toccante testimonianza di Giulia Gabrieli, morta di sarcoma nel 2011. È morta a 14 anni ma aveva ben chiaro il porto da raggiungere: «So che la mia storia può finire solo in due modi: o grazie a un miracolo, con la guarigione completa, che io chiedo al Signore, perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro il Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali».
Intenzione di preghiera
Preghiamo perché le trattative per la pace in Ucraina e Terrasanta trovino finalmente il percorso giusto che consenta di riportare in quei paesi la pace tanto desiderata.
Don’t Forget! 1000 quadri più belli del mondo
DOMENICO MORELLI: GLI ICONOCLASTI
1855 – Olio su tela, 262.5 x 213.5 cm – Museo di Capodimonte Napoli
Domenico Morelli è stato con Filippo Palizzi la figura dominante nella pittura napoletana del secondo ottocento. Figlio adottivo di Francesco Soldiero e di Maria Giuseppa Mappa, Domenico nacque a Napoli il 7 luglio 1823. Dal 1848 scelse di aggiungere il cognome Morelli al proprio e, nel 1892 con decreto reale, cambiò il suo cognome. Frequentò l’Accademia di Belle Arti di Napoli dove si iscrisse nel 1836 all’età di soli 10 anni.
Eseguito nel 1855 dal pittore napoletano dopo le prime prove giovanili, questo quadro è la sua prima grande opera. Gli iconoclasti si impose subito per la sua novità: che il tema patriottico dell’Italia fosse stato di proposito celato dall’artista nell’episodio storico della iconoclastia (=distruzione delle immagini sacre voluta dall’imperatore di Costantinopoli Leone III l’Isaurico con l’editto del 726 e la ribellione del monaco Lazzaro condannato al taglio della mano) risultò evidente quando la tela fu esibita all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861 ed accese gli animi degli artisti, dei critici e del pubblico che la videro come un’opera sentita e vera.
In effetti la tela è un evidente richiamo alle censure antirivoluzionarie dei Borbone: Ferdinando II pur ammirato del quadro, ne colse subito il significato patriottico e mise sull’avviso Morelli, con la celebre frase: «Nun fa’ a pittura cu certe penziere a’ dinto!» (non dipingere con certi pensieri in testa).
Morelli ambienta l’opera nei sotterranei della chiesa di San Giovanni a Costantinopoli, dove il monaco-pittore Lazzaro rassegnato stende al barbuto soldato alle sue spalle, la mano con cui era stato sorpreso a dipingere immagini sacre. I suoi pennelli giacciono sugli scalini sbrecciati, l’icona è gettata a terra e violentemente calpestata. Sullo sfondo rimane solo un’immagine ormai sbiadita dal tempo.
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