18.a settimana tempo ordinario
Avvenne il 3 agosto…
367 – Graziano, figlio dell’imperatore di Roma Valentiniano I, è associato al trono a 8 anni.
1848 – Il podestà di Milano firma la resa della città a Radetzky dopo le Cinque giornate di Milano
1903 – Roma: il cardinale Giuseppe Melchiorre Sarto viene eletto papa con il nome di Pio X
1914 – Il Regno Unito dichiara guerra all’Impero tedesco. Gli USA si dichiarano neutrali.
1944 – La soffiata di un olandese, porta la Gestapo al nascondiglio di Anna Frank e della sua famiglia.
1974 – Strage dell’Italicus: a San Benedetto Val di Sambro un ordigno ad alto potenziale esplode nella ritirata della vettura n. 5 del treno, affollato di gente, causando 12 morti e 48 feriti.
2020 – Libano: nel porto di Beirut avviene una violenta esplosione che causa ingenti danni a tutta la zona circostante, con un bilancio di oltre 220 morti e più di 7000 feriti
Aforisma di Nicolàs Gòmez Dàvila
“Chi si ostina a voler capire più di quel che c’è da capire capisce meno di tutti.”
Preghiera Colletta
Dio onnipotente e misericordioso, che hai fatto del santo curato d’Ars San Giovanni Maria [Vianney]
un pastore mirabile per lo zelo apostolico, per la sua intercessione e il suo esempio fa’ che con la nostra carità guadagniamo a Cristo i fratelli e godiamo, insieme con loro, la gloria senza fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen
Santo del giorno

Giovanni Maria Vianney nacque l’8-5-1786 a Dardilly, Lione, in Francia. Di famiglia contadina e privo della prima formazione, riuscì, nell’agosto 1815, a essere ordinato sacerdote. Per questo ci volle tutta la tenacia di Charles Balley, parroco di Ecully, presso Lione: lo avviò al seminario, lo riaccolse quando venne sospeso dagli studi.
Giovanni Maria Vianney, appena prete, tornò a Ecully come vicario dell’abbé Balley. Alla morte di Balley, fu mandato ad Ars-en-Dombes, un borgo con meno di trecento abitanti. Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, si dedicò alla evangelizzazione, con l’esempio della sua bontà e carità.
Ma fu sempre tormentato dal pensiero di non essere degno del suo compito. Trascorreva le giornate celebrando la Messa e confessando, senza risparmiarsi. Morì nel 1859. Papa Pio XI lo proclamerà santo nel 1925. Verrà indicato modello e patrono del clero parrocchiale.
Parola di dio Matteo 14,13-21
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Riflessione dal blog di Costanza Miriano
«Ti domando per ultimo un altro sacrificio, di non parlar di me: solo ricordami nelle preghiere e fa celebrare qualche S. Messa in mio suffragio. Io spero che Dio mi accolga in Paradiso e li pregherò per te e ti sarò vicino come se fossi vivo. Martinengo 14-11-1947. Il tuo don Bepo».
Questa lettera riservata alla sorella Santina rivela che a don Bepo stava a cuore la salvezza dell’anima e delle anime. Col suo Patronato egli è stato casa dalla porta aperta, segno forte di una Chiesa animata da autentico di spirito di servizio, capace di accompagnare la vita, sostenere la speranza, seminare riconciliazione. In questi giorni, il nostro Vescovo Francesco ha augurato ai giovani giunti a Roma per varcare la Porta Santa, di vivere il Giubileo da veri pellegrini con il cuore teso verso il traguardo: la vita eterna.
Nella catechesi svolta nella chiesa di S. Eusebio all’Esquilino, luogo caro al bergamasco S. Luigi Maria Palazzolo, mons. Beschi ha ricordato che contemplando il Cristo ignudo sulla Croce il prete sentì fortissimo desiderio di lasciare tutto. E proprio sul verbo «lasciare» ha fermato la sua attenzione. Riprendendo la domanda del giovane ricco del Vangelo: «Cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?», il vescovo ha invitato i giovani a fermare il cuore sulla risposta del maestro: “Va’, vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri”.
La vita eterna non si può comprare, ma è mistero da accogliere da quella sorgente inesauribile che è Dio. Lui è venuto a donarcela in abbondanza». La vita eterna è mistero da vivere che comporta «vendere quello che si possiede» e «seguire Gesù». Papa Benedetto XVI, nel suo insegnamento, sottolineava che la vita eterna non è solo un futuro lontano, ma una realtà che si vive già in pienezza nel presente. Questa prospettiva esige di considerare la vita terrena non come un’attesa passiva, ma come un’occasione per sperimentare la pienezza della vita in Cristo, qui e ora.
Intenzione di preghiera
Preghiamo perché accettiamo che la nostra forza non consiste nell’essere perfetti, nel sentirci immuni da colpa, ma nel mettere tutto della nostra vita, anche ciò che ci umilia e ci vergogna, nelle mani e nel cuore di Dio, fidandoci della sua e non della nostra bontà.
Don’t forget! 1000 quadri più belli del mondo
UMBERTO BOCCIONI: LA CITTÀ CHE SALE
1910 – pittura a olio su tela – 301 x 199,3 cm – Museum of Modern Art – New York – Usa
Il pittore futurista italiano Umberto Boccioni (1882-1916) con il celeberrimo quadro “La città che sale” celebra la crescita industriale della periferia milanese. Per questo quadro Boccioni prese spunto dalla vista di Milano dal balcone della casa dove abitava. Nonostante la presenza di elementi realistici come il cantiere o la costruzione e la resa dello spazio in maniera prospettica, il dipinto è considerato la prima opera futurista del pittore reggino. Per aiutare i lettori a comprendere il quadro facciamo notare che la composizione può essere divisa in tre fasce orizzontali che corrispondono a tre piani:
- in basso Boccioni colloca le persone dipinte su linee oblique che evidenziano lo sforzo dinamico.
- al centro dominano i cavalli, tra i quali risaltano 4, gli ultimi tre hanno una colorazione rossa e profili blu che rappresentano i cavalieri sulla groppa: uno bianco a sinistra che rivolge lo sguardo a destra, uno rosso al centro che domina il centro del quadro, uno a sinistra, poco più su di quello bianco, col muso verso l’alto e la bocca aperta. uno sulla destra che volge il muso verso il centro del quadro. l’ultimo sempre sulla destra, sopra il quarto, indirizzato verso l’esterno dell’opera.
- In terzo piano lo sfondo della periferia urbana, forse un quartiere di Milano in costruzione.
In questo dipinto è parzialmente abbandonata la visione naturalistica dei quadri precedenti, per lasciare il posto a una visione più movimentata e dinamica. Se le ciminiere delle fabbriche formano uno sfondo relativamente immobile, in primo piano i tram che passano velocemente, le persone e i cavalli fusi insieme in un dinamismo esasperato, sono in movimento: nessuno e nulla è fermo. In tal modo Boccioni riesce a mettere in risalto alcuni tra gli elementi più tipici del futurismo, come l’esaltazione del lavoro dell’uomo e l’importanza della città moderna plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro.
Il tema dell’opera dunque, da raffigurazione di un normale momento di lavoro in un qualunque cantiere, si trasforma nella celebrazione dell’idea del progresso industriale con la sua inarrestabile avanzata. Sintesi di ciò è il cavallo inutilmente trattenuto dagli uomini attaccati alle sue briglie. In parole povere l’intento dell’artista è di dipingere ed esaltare il frutto del tempo industriale che allora avanzava a briglie sciolte senza che nessuno potesse frenarlo.
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