Martedì 16 dicembre 2025

     

    3.a settimana tempo di Avvento

     

    Avvenne il 16 dicembre…

    1857 – Un violento terremoto si abbatte sulla Basilicata, causando migliaia di vittime.

    1910 – Henri Coandă compie il primo breve volo con un aereo dotato di motore jet.

    1942 – Heinrich Himmler ordina che anche gli zingari siano internati nei campi di concentramento.

    1966 – A Pechino viene pubblicato il Libretto Rosso di Mao Tse-tung.

    1998 – Statunitensi e britannici bombardano l’Iraq per aver ostacolato l’operato degli ispettori ONU.

    1999 – Un fiume di fango provoca migliaia di vittime in Venezuela.

     

    Aforisma di Madre Teresa di Calcutta

    “”I genitori devono essere affidabili, non perfetti. I figli devono essere felici, non farci felici. “

     

    Santo del giorno

    Onorato, al secolo Venceslao Kozminski, nacque a Biala Podlaska il 16 ottobre 1829. Ricevuta la prima educazione in famiglia e compiuti gli studi primari a Plock, si recò a Varsavia dove fu influenzato dall’illuminismo, abbandonò la fede. Arrestato nel 1846 dalla polizia zarista, poiché sospettato di far parte di una organizzazione politica, rinchiuso nel carcere di Varsavia, vi trascorse un anno durante il quale contrasse il tifo e temette la condanna a morte.

    Durante questo periodo aveva ricercato e ritrovato la fede in Dio. Nel 1846 subì una crisi religiosa, superata la quale entro nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini a Varsavia, e venne ordinato sacerdote il 27 dicembre 1852.

    Lottò contro il potere zarista che voleva staccare la chiesa polacca da quella di Roma, per mezzo della devozione mariana e della diffusione del 3° Ordine Francescano. Si dedicò a un’intensa azione pastorale fondando ben 26 Istituti religiosi, di cui 18 esistono tutt’oggi. Fu scrittore fecondo, direttore spirituale e confessore ricercatissimo. Morì a Nowe-Miasto il 16-12-1916. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1988..

     

    Preghiera Colletta

    Nella tua bontà, o Padre, porgi l’orecchio alla nostra preghiera e, con la grazia del tuo Figlio che viene a visitarci, rischiara le tenebre del nostro cuore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per i secoli dei secoli. Amen

     

    Parola di dio Matteo 21,28-32

    Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”.

    Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

    E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

     

    Riflessione don Arturo Bellini commenta don Bepo

    «Non vi è rosa senza spine. Il carattere – gli uomini. Saper incassare». don Giuseppe Vavassori 1967-12-15). Don Bepo ricorreva sovente a espressioni proverbiali.  In due paginette raccoglie alcuni spunti sulle difficoltà dell’apostolato e in questo contesto cita il detto popolare «non c’è rosa senza spine».  È un proverbio. Ci ricorda che ogni cosa o esperienza bella e piacevole è sempre accompagnata da sacrificio. Ogni rosa, nonostante la sua bellezza, nasconde le sue spine.

    Ogni esperienza, per quanto desiderabile e affascinante, presenta lati negativi, difficoltà e rischi.  In senso più generale, questo proverbio ci ricorda che ogni obiettivo o desiderio non è facile da raggiungere; richiede impegno, sacrificio, pazienza e perseveranza. È però innegabile che la rosa ha un fascino particolare. Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke che abitò per un certo periodo a Parigi per recarsi all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una amica francese, una strada molto frequentata. Un angolo di questa via era occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. 

    La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo. Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.  Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: «Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?». «Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», rispose il poeta. Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene.

    Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno. Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre. «Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese la giovane francese. «Della rosa», rispose il poeta.      

                  

    Intenzione di preghiera

    Preghiamo perché viviamo il tempo di Avvento in spirito di preghiera e intensificando la carità verso il prossimo e la pratica della vita buona.

     

    Don’t Forget! Santi e beati della carità

    S. SERVOLO IL PARALITICO

    + nel 590

    Un mendicante paralitico, come tanti che hanno disseminato le strade delle città in tutti i secoli, ricordando con la loro presenza, spesso vista con fastidio, l’altra faccia dell’umanità, che non consiste solo di gioie, divertimenti, buona salute, ricchezza, ma anche di povertà, malattia, emarginazione, sofferenza, ingiustizia. Tale fu nel tardo VI secolo, Servolo, paralitico povero di mezzi, che dimorava sotto i portici della strada che conduceva all’antica Basilica di S. Clemente a Roma. Era diventato paralitico sin da bambino e la devastante malattia l’accompagnò per tutta la sua vita, condizionandolo in tutte le attività.

    Ad aiutarlo c’erano la madre e un fratello; tutto Il poco che riceveva dalle elemosine lo distribuiva ai poveri, proprio tramite i due familiari. Se era colpito e immobilizzato nel corpo, era sveglio con la mente e con la volontà; non sapeva leggere né scrivere, nonostante ciò aveva comperato dei libri della Sacra Scrittura e quando dei sacerdoti si soffermavano da lui, li pregava di leggerglieli; nutrito così dalle parole ispirate della S. Scrittura, Servolo trovava conforto nelle sue sofferenze e veniva spronato a innalzare giorno e notte, le lodi a Dio, padre di tutte le creature anche le più provate.

    Diventò quasi una tappa obbligatoria per i pellegrini ed i fedeli che si recavano alla vicina Basilica di S. Clemente e si soffermavano presso di lui, che se da un lato riceveva una elemosina, che come detto finiva ad altri poveri, dall’altro ricambiava con parole di conforto, di consiglio, di esortazione, nel percorrere sulla scia di Gesù, Via, Verità e Vita, la loro esistenza. Quando ancora giovane sentì avvicinarsi la morte, volle che i pellegrini presenti si alzassero e cantassero i salmi nell’attesa, accompagnati dal canto di lui, che a un tratto tacque facendo segno anche agli altri di smettere e disse: “Tacete, non udite forse le laudi che cantano in cielo?” poi spirò; era il 23 dicembre del 590.

     

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