martedì 3 agosto ’21

     

    18.a Settimana Tempo Ordinario

     

    Proverbio del giorno

    L’uomo è come l’anatra, mette il becco dappertutto.

     

    Preghiera del giorno (di Macario l’Egiziano)

    Angelo santo, che vegli sulla mia povera anima e sul mio corpo, perdonami tutto quello che ha potuto offenderti in tutti i giorni della mia vita e tutte le colpe di oggi.

    Proteggimi nella notte che si avvicina e guardami dalle insidie e dagli attacchi del maligno, perché io non incorra nello sdegno di Dio col peccato.

    Intercedi per me presso il Signore affinché mi fortifichi nel suo timore e faccia di me un servo degno della sua santità. Amen.

     

    Santo del giorno

    ASPRENO DI NAPOLI Vescovo Primo vescovo di Napoli, visse tra la fine del I secolo e gli inizi del II, epoca a cui si fanno risalire gli inizi della Chiesa partenopea.

    Vari antichi documenti fissano la durata del suo episcopato in 23 anni. Secondo una leggenda si sarebbe convertito dopo essere stato guarito da S. Pietro che lo consacrò poi vescovo.

    Dopo S. Gennaro è il secondo dei 47 protettori di Napoli i cui busti sono custoditi nella Cappella del tesoro in Duomo, dove sarebbe anche conservato il bastone con cui san Pietro lo guarì.

     

    Parola di Dio del giorno – Matteo 14,22-36

    [Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla.

    Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.

    Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono di paura.

    Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».

    Egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

    E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò.

    Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». Compiuta la traversata, approdarono a Gennesaret.

    E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti.

     

    Riflessione del giorno

    Edulo curavi humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere”.

    Per una volta tanto ricorriamo al latino, la lingua ancora ufficiale della Chiesa cattolica, la lingua “scientifica” dei secoli passati.

    L’autore di questa frase era un ebreo e in odore di eresia, cioè il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677) nel suo scritto Tractatus politicus.

    Eppure non c’è da parte mia nessuna esitazione nel proporre questo motto come un modello per un dialogo serio e pacato tra credenti e non.

    Quattro verbi, dunque, costituiscono il dittico squilibrato che il filosofo dipinge. C’è la tavola oscura della derisione (ridere), del lamento (lugere) e dell’odio (detestari) nei confronti delle azioni umane (degli altri ovvio…noi non sbagliamo!).

    Questa trilogia verbale purtroppo, anche ai nostri giorni, è la più praticata in ogni ambito; ha cultori appassionati e infesta studi televisivi, assemblee, parlamenti, comunità laiche e religiose.

    L’altra tavola del dittico ha un solo verbo, intelligere (capire, comprendere). E la vera intelligenza non è solo ragione, ma è anche ascolto, volontà, attenzione, rispetto. «L’intelligente ama istruirsi – diceva Cechov – lo stupido istruire».

     

    Intenzione di preghiera del giorno

    Preghiamo per chi lavora e vive nel mare, compresi i marinai, i pescatori e le loro famiglie.

     

    Don’t Forget!

    3-8-1492: All’alba, Cristoforo Colombo salpa da Palos verso quel nuovo mondo che è l’America

    3-8-1778: Milano: Inaugurazione del Teatro alla Scala con L’Europa riconosciuta di Antonio Salieri

    3-8-2020: Genova viene inaugurato il viadotto autostradale S. Giorgio, che sostituisce quello crollato il 14 agosto 2018 provocando 43 vittime.

     

    1000 quadri più belli del mondo

    VITTORE GHISLANDI FRA GALGARIO: GENTILUOMO COL TRICORNO

     1740 circa – Olio su tela –  cm 109 x 87 – Milano Museo Poldi Pezzoli

    Vittore Ghislandi nacque a Bergamo nel 1655. Nel 1675 entrò nell’Ordine dei minimi nel convento di S. Francesco da Paola a Venezia, con il nome di Vittore.

    Visse la sua vita tra Bergamo, Venezia, Bologna e morì nel 1743 nel Convento del Galgario, di Bergamo che gli diede l’appellativo con cui è noto.

    Il Ghislandi dipinse testimonianze della vita provinciale del ‘700 con abilità e studiò a fondo la psicologia e il carattere dei personaggi che rappresentava con sapienza tecnica. 

    L’identità del gentiluomo rappresentato in questo ritratto è sconosciuta. Si tratta di un cavaliere col tricorno in feltro nero merlato da una «guarnizione di gallone d’argento, elaborato quasi come un pizzo», la marsina grigia bordata di un gallone chiaro ai lembi, il giustacuore in seta grigia ornato da ricami argentati e chiuso alla cinta da una fusciacca in seta bianca e azzurra, il busto d’acciaio su cui campeggia la Croce rossa con quattro gigli, del Sacro Ordine Costantiniano di S. Giorgio.

    La mano destra è dietro la schiena; la sinistra, inserita sul giustacuore, sorregge un bastone da passeggio con un nastro di raso rosso. In basso si scorge la spada dall’impugnatura riccamente modanata.

    La parrucca argentea ha i capelli raccolti probabilmente a coda, come era gusto nel XVIII secolo, legata sul davanti da un nastro di seta nero che funge anche da cravatta.

    Questo tipo di acconciatura era tipica del mondo militare. Il mistero sulla persona contribuisce al fascino profondo del ritratto.

    Sia per la sensibilità dell’approccio psicologico dal quale risulta una “drammatica concentrazione di rammollimento cerebrale” (G. Testori, 1953), sia per la sua qualità pittorica, l’opera è stata sempre considerata tra i capolavori assoluti di Fra’ Galgario, ed anzi “una delle più grandi realizzazioni di tutto il secolo”.

     

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