Martedì 5 marzo 2024

     

    III Settimana di Quaresima

     

    Oggi il Patronato festeggia il compleanno di don Giuseppe Bracchi

    Avvenne il 5 marzo…

    1836 – Samuel Colt fabbrica il primo modello di revolver destinato alla produzione

    1940 – Esecuzione di 25.700 polacchi, fra cui 14.700 prigionieri di guerra. L’episodio passa alla storia come massacro di Katyn’ ad opera dei sovietici.

    1946 – Winston Churchill nomina per la prima volta la cortina di ferro.

    1953 – Iosif Stalin muore a Mosca a seguito di un attacco cerebrale.

    1970 – Entra in vigore un trattato di non proliferazione nucleare, ratificato da 43 nazioni.

     

    Aforisma di Giovanni Paolo II

    Non lasciatevi scoraggiare da coloro che, delusi dalla vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi e autentici del loro cuore.

     

    Preghiera

    Non ci abbandoni mai la tua grazia, o Signore, ci renda fedeli al tuo santo servizio e ci ottenga sempre il tuo aiuto. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen

     

    Santo del giorno

    Accanto ai grandi martiri dei primi anni del secondo secolo come Ignazio di Antiochia e Simeone di Gerusalemme, ultimo dei parenti immediati di Gesù, troviamo anche un ortolano, di nome Foca, abitante a Sinope, nel Ponto Eusino.

    Era apprezzato e benvoluto da tutti per la sua generosità e la sua ospitalità e di queste sue virtù diede una commovente dimostrazione agli stessi carnefici, incaricati di eseguire la sentenza capitale pronunciata contro di lui. Evidentemente i carnefici non lo conoscevano di persona, perchè, entrati in casa sua per avere delle indicazioni, furono generosamente invitati a pranzo dall’ortolano.

    Mentre i due si rifocillavano, Foca andò nell’orto a scavarsi la fossa; quindi tornò in casa e dichiarò la propria identità ai carnefici, pregandoli di non porre indugi all’esecuzione della sentenza. Fu accontentato e pochi istanti dopo il suo corpo cadeva nella fossa appena scavata. 

     

    Parola di Dio del giorno Matteo 18,21-35

    In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti.

    Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”.

    Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato.

    Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

     

    Riflessione Giovanni d’Amico: il pensiero binario 1.a parte

    Alla luce di quel che avviene, appare sempre più fulminante e illuminante una battuta di Giovanni Lindo Ferretti che anni fa, intervistato sul papa, rispose che gli “intellettuali” adottano un sistema “binario”: o sei carnefice o sei vittima. E questo nonostante tutti gli avvertimenti sul pensiero complesso, sulle sfumature, sul bene e sul male che continuamente si intrecciano.

    Poniamo oggi in evidenza due ambiti in cui gli “intellettuali” semplificano in forma binaria alla faccia della complessità dei problemi. 1/ La cannabis. Sui media e sui social si insiste sulla liberalizzazione della cannabis, piovono articoli sul bene che farebbe alla psiche e sul suo buon utilizzo in campo medico. Non solo: grandi manifesti pubblicitari vengono piazzati ovunque in Italia a promuovere prodotti di cannabis light.

    Ma possibile che nessuno di questi “intellettuali” abbia il coraggio di ammettere che la cannabis è un male, che rovina i più giovani, abituandoli a divertirsi solo se “pompati” da sostanze che li rendono non “normali”? Possibile che non ci sia nessun “intellettuale” che denunci l’uso della cannabis – e di altri prodotti “leggeri” simili – per i minorenni, quando tutti sanno che la cannabis viene assunta in Italia a partire dai 12, 13 anni? Invece no! Il pensiero binario prevede che se uno è progressista, deve per forza essere a favore della cannabis e non può criticarne l’uso.

     

    Intenzione di preghiera

    Preghiamo perché le nazioni ricche aiutino gratuitamente e senza alcun ricatto i popoli poveri.

     

    Don’t Forget! Grandi sacerdoti bergamaschi

    Don Roberto Pennati

    “…Seduto in poltrona presso la finestra, avvolto in una coperta da cui sbuca poco più che la testa, don Roberto trasmette un profondo senso di serenità che commuove. Riesce a parlare (è bravo a nascondere la fatica che fa…) ma non muove un muscolo e per qualsiasi cosa –qualsiasi- ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e lo assista…”. Così lo descriveva un bell’articolo de l’Eco (19-3-2017); così ci siamo abituati a conoscerlo tutti da più di 20 anni a questa parte. Ma don Roberto Pennati, classe 1946, è stato anche altro, molto altro.

    È stato il bimbo sensibile e intelligente che a sette anni rimane orfano del papà tornato malconcio dalla guerra, un lutto grave che però non gli impedisce di crescere serenamente in un ambiente familiare e sociale di povertà dignitosa e di grande ricchezza umana e cristiana. È stato il ragazzo inviato dalla famiglia al Patronato di S. Paolo d’Argon e che, su consiglio del direttore don Carlo Avogadro, completa le elementari a Stezzano nella casa di formazione di don Bepo dove poco a poco matura dentro di sé la decisione di diventare prete, senza per questo smettere di vivere intensamente l’adolescenza nell’amicizia, nella pratica dello sport, negli studi, con qualche fatica iniziale spazzata via da tanta buona volontà.

    E’ stato il prete che ha legato la vita e il ministero al Patronato come vicerettore dei ragazzi a Bergamo, svolgendo il compito con scrupolo e passione, senza rinunciare però a fare nuove esperienze, a conoscere, a viaggiare: dall’Eritrea alla Bolivia, da Taizé a Lourdes e a tanti altri luoghi…E ancora le sue mitiche galoppate in bicicletta, i viaggi con gli amici e soprattutto la montagna che diventa l’esperienza più importante, quella che ricorderà sempre con entusiasmo e che, senza che lui lo sappia, anticipa la scalata alle vette interiori, quelle più alte, rischiose e inaccessibili.

    Da innamorato della montagna custodisce gelosamente tre cose: la foto del Cervino, la vetta più difficile e la più amata, le stelle alpine e la Madonnina “che (è lui che parla) è rimasta per 15 anni su un torrione vicino al Lago Rotondo: l’avevo messa per sostituirne una rovinata. Mi commuove pensando al freddo, alle bufere e alla neve di cui è stata testimone. Sono un po’ come le bufere che la vita ci fa attraversare. E allora chiedo alla Vergine Maria di starmi vicino”. E quando la malattia lo costringe all’immobilità, non rinuncia a scrutare le montagne e su internet scopre un laghetto delle Orobie di cui nessuno si era fino ad allora accorto! È stato un bravo discepolo di due grandi maestri: il primo è don Bepo dal quale ammette di aver imparato non delle nozioni, ma uno autentico stile di vita e di azione: quello stile che gli farà decidere di occuparsi –fra i primi in Italia- dei nuovi poveri cioè i giovani dipendenti dalle droghe.

    Per loro apre una casa che abita fino alla fine a testimonianza dell’impegno preso. E di don Bepo assimila anche la spiritualità: l’ultimo suo libro è dedicato proprio al profilo spirituale del fondatore del Patronato, che pochi hanno saputo cogliere, interpretare e vivere meglio di lui e che trasmette agli amici che non hanno mai smesso di riunirsi in casa sua a meditare, pregare e celebrare e ai tanti che da lui si confessano e gli chiedono consigli. Il secondo maestro è stata la malattia o il corpo malato come diceva lui: maestro difficile ed esigente, compagnia scomoda e dolorosa per più di 20 anni che però ha plasmato il don Roberto che tutti ammiriamo e la cui perdita piangiamo come quella di un amico, un fratello, un padre, un esempio.

    Nessuno come lui, pur costretto all’immobilità e all’inazione, ha fatto tanto per chi gli ha voluto bene e per la Chiesa e il Patronato a cui ha sempre voluto bene. E ora lo affidiamo al Signore affinché continui a operare le sue meraviglie attraverso il suo servitore umile, saggio e fedele   

     

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