Mercoledì 10 gennaio 2024

     

    I Settimana del Tempo Ordinario

     

    Avvenne il 10 gennaio…

    49 a.C. – Giulio Cesare attraversa il Rubicone.

    1810 – Napoleone Bonaparte, dopo 14 anni di matrimonio divorzia da Giuseppina di Beauharnais.

    1920 – La Società delle Nazioni si riunisce per la 1.a volta e ratifica il trattato di Versailles, ponendo fine alla 1.a guerra mondiale.

    1946 – A Londra si tiene la prima assemblea generale delle Nazioni Unite.

     

    Aforismi dei Padri del deserto

    Un anziano diceva: «Non ho mai fatto un solo passo senza sapere dove posassi il piede. Mi fermavo a riflettere, senza cedere, fino a che Dio non mi prendesse per mano».

     

    Preghiera

    Ispira nella tua paterna bontà, Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo per i secoli dei secoli Amen

     

    Santo del giorno

    Secondo la tradizione, l’eremita Aldo – vissuto in epoca imprecisata tra l’VIII e il l’XI secolo – era un carbonaio che scelse la vita “ritirata” nella forma portata a Bobbio da san Colombano. Il monachesimo irlandese, infatti, era basato sua una forma mista: ogni monaco costruiva la propria cella vivendoci da solo, ma poi condivideva alcuni momenti comunitari e durante il giorno si dedicava a una occupazione o mestiere.

    Le notizie storiche su Aldo riguardano l’antichità del culto e il luogo della sepoltura a Pavia nella cappella di San Colombano, dalla quale venne poi traslato nella basilica di San Michele, a Pavia, che fu un tempo capitale del Regno dei Longobardi. E’ probabile, infatti, che sangue longobardo scorresse nelle vene del Santo eremita, o così almeno fa pensare l’origine del suo nome, che la parola longobarda “ald”, con il significato di vecchio.

     

    Parola di Dio del giorno Marco 1,29-39

    Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta.

    Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce.

    Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.

     

    Riflessione di Giovanni d’Amico

    La sinodalità è oggi più che mai necessaria, perché sia nella Chiesa, sia fuori, le persone sono spaccate in due fronti. A nulla servirebbe compattare l’uno o l’altro fronte se non si riuscisse a convincere l’altra metà. Sarebbe una sinodalità fatta solo da una metà delle persone che si contrapporrebbe poi all’altra metà, senza aver convinto. Convincere è vincere insieme: etimologicamente è proprio con-vincere, vincere con, vincere insieme. È ciò che avvenne nella prima assemblea degli Atti degli Apostoli a Gerusalemme.

    Tutti si parlarono insieme e ne uscì fuori una decisione presa all’unanimità, poiché tutti erano stati “convinti” dallo Spirito Santo. Lo stesso desiderò Giovanni XXIII, quando alla prima votazione sul documento che sarebbe poi diventato la “Dei Verbum” si accorse che 1/3 dei vescovi non era d’accordo. Ebbe il coraggio di ritirare la bozza, perché un documento accettato solo da 2/3 del Concilio avrebbe spaccato la Chiesa.

    Si lavorò a una nuova stesura accettata da tutti e solo nel 1965, alla fine del Concilio, i tempi erano maturi e il documento fu votato quasi all’unanimità. Lo Spirito aveva convinto tutti, ma tutti erano stati disponibili a non fare passi non convincenti e non condivisi da tutti – non solo dalla metà, fosse pure la maggioranza. Ecco il convincere, l’incontrarsi fra gruppi con visioni differenti, per cercare come spingere “oltre” le posizioni, fino ad aver convinto veramente tutti.

     

    Intenzione di preghiera

    Preghiamo per l’unità della Chiesa oggi minacciata da dissidi, contrasti e mancanza di dialogo.

     

    Don’t Forget! Grandi figure del clero Bergamasco

    MONS. NORADINO TORRICELLA: “prete scomodo”

    Noradino Torricella nato nel 1884 a Villa d’Almè, a 12 anni (la famiglia abitava ad Albino) entrò in seminario a Bergamo. Nel 1904, anno di ordinazione di Angelo Roncalli, fu accolto nel Seminario Romano e il 26-5-1907 fu ordinato prete a Roma e celebrò la 1.a Messa a Villa d’Adda, dove la famiglia si era trasferita.

    Il vescovo di Bergamo lo destinò a Lovanio per la licenza e il dottorato. Di intelligenza straordinaria, gli bastarono pochi mesi in Germania e altrettanti a Brighton per capire e parlare in modo sufficiente il tedesco e l’inglese.

    Rientrato a Bergamo nel 1909 con il dottorato in scienze sociali fu destinato dal vescovo a Gazzaniga come coadiutore e confessore dei cattolici di lingua tedesca, presenti in gran numero negli opifici della Valseriana. Vi rimase poco più di un anno, ma il suo passaggio lasciò una forte impronta. Signorile nel tratto e gentile con tutti aveva la stima dell’intero paese.

    A fine estate 1910, il vescovo lo indirizzò sulla strada diplomatica: si laureò in diritto canonico, superò l’esame per entrare nel Corpo Diplomatico Vaticano e si mise a servizio del Card. Granito Pignatelli. Nel 1917 fu segretario della Nunziatura di Monaco di Baviera, retta da Eugenio Pacelli. Nel 1918 passò alla più importante Nunziatura di Vienna con mons. Valfrè. Erano gli anni dopo Caporetto e Mons. Torricella si rese benemerito nel lavoro di ricerca e assistenza dei prigionieri italiani attestato dal carteggio della sorella Emira. Nel 1919 lasciò improvvisamente la carriera diplomatica.

    A Bergamo fondò «La squilla dei lavoratori», poi a sostegno del Partito Popolare fondò «Lo Scudo». Divenne segretario del Partito Popolare di don Sturzo e, quando il fascismo andò al potere, fu schedato come “sovversivo”. Insieme all’amico don Agostino Vismara apri ad Agen una testa di ponte per i bergamaschi emigranti in Francia. Nel 1924 diede avvio all’ufficio per l’assistenza agli emigranti e nel 1926 fondò e diresse il settimanale “Il Corriere degli italiani” per gli emigranti.

     

    MONS. TORRICELLA “BERSAGLIO A VITA”

    Scomodo in Italia diviene presto scomodo oltralpe. Il profilo più completo è di don P. Mauro Valoti, il prete cacciato nel 1938 dai fascisti dalla direzione de «L’Eco di Bergamo».  «La parabola di vita di mons. Torricella fu ad alta tensione nel servizio agli emigrati e nella difesa dei loro diritti e anche della coerenza e rettitudine morale. La complessa condizione in cui venne a trovarsi nella seconda metà del 1943 lo portò a esternazioni non sempre ben comprese e facili da comprendere, in una personalità come la sua.

    L’isolamento, la resistenza alle provocazioni del fuoriuscitismo, la ferma opposizione all’ideologia del bolscevismo, la priorità data alla sorte degli emigrati, lo portarono a valutazioni sugli eventi e sulle mediazioni da adottare che, in quel sofferto tornante storico, lo fecero apparire schierato. In realtà, fino all’ultimo, non fu schierato da nessuna parte: non voleva essere né fascista né antifascista.

    Questa scelta lo pose in permanente situazione critica: si trovò nel mezzo, contestato dagli uni e dagli altri. Né gli uni né gli altri lo sentivano dei loro. Per i fascisti era uno scaltro sovversivo, per i fuoriusciti era fascista travestito. Si trovò a vivere l’esperienza drammatica di essere bersaglio a vita, senza cedere alla tentazione di tirarsi indietro per il bene degli emigrati». 

    Né fascista, né antifascista è la chiave interpretativa che consente di leggere la sua vita sempre sulla breccia, sulla base dei documenti finora acquisiti. Mons. Torricella fu una personalità singolare, difficilmente inquadrabile in schemi preordinati. Non si lasciò prendere da giochi di parte e non ebbe paura di dire chiaramente il proprio pensiero. Fu un prete e un missionario, non un politico. La sua vita quotidiana cominciava con la preghiera e si nutriva di preghiera.

    Nel ministero aveva un profondo senso educativo che manifestava nei colloqui personali e attraverso la stampa. Nutriva un sincero amore patrio e una convinta e netta presa di posizione dalle ideologie secondo l’insegnamento di Pio XI. Nei suoi pensieri più volte manifestati, ce n’è uno che ne rivela l’animo sacerdotale pronto a dare la vita per Dio e il vangelo. Nous autres Prêtres, nous sommes costamment disposés à accepter la mort, plutôt que rienier Dieu .

     

    «NON VOGLIAMO DITTATURE DI NESSUN GENERE»

    Tra Torricella e i fuoriusciti socialcomunisti non corse mai buon sangue, ma un sostanziale distacco, atteggiamento questo condiviso dai missionari italiani in Francia. L’ostilità dei fuoriusciti italiani contro di lui si allargò per le divergenze di pensiero tra cristiani e marxisti e per il temperamento di mons. Torricella, che «instancabile lavoratore e difensore ostinato delle sue posizioni, quando queste gli risultavano necessarie a far del bene e a servire gli altri» (don Valoti).

    Mons. Torricella era una persona per nulla incline al compromesso: «più che autoritario, era un po’ difficile. Un po’ duro. Per prenderlo, e trovarlo uomo di gran cuore e di retta coscienza, bisognava non impuntarsi alle prime difficoltà che il suo carattere avanzava. Poi la via si spianava e da lui si aveva tutto quello che la sua forte volontà e il suo chiaro ingegno e il suo ideale di giustizia potevano dare».  Per i missionari italiani in Francia per i Popolari bergamaschi, per don Agostino Vismara e per gli emigranti il ricordo di Mons. Torricella fu quello di uno spirito libero e di un prete dedito alla sua missione tra i migranti.

    Il 7-1-1944, Noradino Torricella fu assassinato nella sua casa in Boulevard Pétain ad Agen (bassa Francia) Stava preparando un articolo per il «Corriere degli Italiani», quando due giovani sui 20 anni si presentarono e chiesero di parlare di persona con lui. La segretaria indicò l’ufficio; appena i due varcarono la soglia si udirono due colpì di revolver. I due uscirono di fretta e la segretaria trovò mons.

    Torricella riverso a terra e morto con due pallottole nella tempia sinistra. L’attentato fu rivendicato dalla “Brigata 35” ispirata dall’ideologia del comunismo più intransigente, per la quale Torricella era «un prete capo fascista italiano e propagandista furioso». Aveva 59 anni. Non era né fascista né agit-prop del fascismo, mentre erano sicuramente agit-prop del comunismo gli assassini e i loro mandanti.

    Ventiquattro anni prima, sulla «Squilla dei lavoratori» giornale da lui fondato aveva scritto: […] Noi non vogliamo dittature di nessun genere e come abbiamo protestato e protestiamo contro la dittatura capitalista borghese, come non vogliamo subire una dittatura proletaria rossa, non ne vogliamo neppure un’altra che – falsamente – si direbbe cristiana. Noi siamo per la collaborazione più leale con tutte le classi perché ci ispiriamo alla dottrina di Gesù Cristo che tutti amò e tutti redense».

     

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