Perché Gesù faticò tanto a sanare il sordo

     

    Mi ha sempre stupito la differenza che esiste fra il miracolo della risurrezione di Lazzaro (Giovanni 11,43-44) e quello della guarigione del sordo (Marco 7,31-37). Gesù infatti ordina «Lazzaro vieni fuori!» e quello subito esce dalla tomba. Con il sordo invece Gesù mette in atto tutta una serie di gesti e persino sospira come chi sta facendo uno sforzo sovrumano.

    Sembra cioè che per Dio sia più facile risuscitare un morto, che farsi ascoltare da un vivo. Ebbene, riconoscendo che non ho esperienza in fatto di morti resuscitati, ammetto che se ascoltare è difficile, lo è ancor di più farsi ascoltare. Infatti tanti che chiedono ascolto, cominciano a parlare e non la smettono più finché concludono: «Grazie d’avermi ascoltato».

    Tu non hai aperto bocca, ma loro, sazi come sono delle loro parole, non hanno più bisogno delle tue. C’è poi chi mosso da «disperato bisogno di parlare» ti scarica addosso una serie di problemi impossibili da risolvere. Ma se hai un po’ di pazienza, capisci dove il tipo va a parare. Non c’è bisogno di miracoli: basta una mancia.

    Tempo fa una signora ha chiesto ascolto: per un’ora ha tirato in ballo suo padre che per fortuna era morto; la mamma che era insopportabile con la sua demenza; il fratello posseduto dal diavolo; i vicini che le avevano reso la vita impossibile. Quando con cautela le ho chiesto se non avesse nulla da rimproverarsi, ha risposto: «Lei non ha tutte le rotelle a posto». E ho capito perché Gesù faticò così tanto a sanare il sordo.

     

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