La stanza è ampia e i tre ospiti con una tenda hanno diviso lo spazio privato (zona notte) da quello pubblico (soggiorno); ora l’ambiente è ancor più comodo perché il terzo ospite è in Africa dai suoi.
Giorni fa l’educatore scopre che sul tavolo della “zona giorno” trionfa la più assoluta sporcizia e confusione: piatti, posate, bicchieri, pentolini, padelle, stoviglie, contenitori di plastica e resti di cibo ammuffito non lasciano un centimetro di spazio libero e pure le sedie sono piene di vestiti e oggetti.
In compenso i due ospiti rimasti, mangiano tranquillamente seduti per terra. Rimproverati, reagiscono sostenendo che la colpa è di quello che ha viaggiato: “È stato lui a fare casino e tocca a lui sistemare: è una questione di giustizia”.
C’è da restare allibiti, visto che lui non tornerà prima di due mesi e siccome a infastidirli non è il fatto di vivere in quella specie di discarica, ma la prospettiva di dover faticare a pulirla, li minacciamo di espulsione e così si rassegnano a collaborare.
Quando l’ambiente viene finalmente restituito all’ordine, i musi lunghi fanno posto a sorrisi di soddisfazione per il decoro ritrovato.
Ma i due paladini della giustizia non mollano e l’ultima parola è la loro: “Quando ritornerà L. gli faremo pagare la giornata di lavoro che abbiamo dovuto fare noi al posto suo”.
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