Venerdì 11 aprile 2025

     

    5a Settimana di Quaresima

     

    Avvenne l’11 aprile…

    1775 – In Germania avviene l’ultima esecuzione capitale per il reato di stregoneria.

    1814 – Napoleone Bonaparte esiliato all’isola d’Elba.

    1868 – L’Impero giapponese abolisce il titolo il regime dittatoriale dello shogunato iniziato nel 1603

    1945 – Forze statunitensi liberano il campo di concentramento di Buchenwald.

    1963 – Papa Giovanni XXIII pubblica l’enciclica Pacem in Terris

    1970 – Viene lanciato l’Apollo 13.

    1997 – La notte fra l’11 e il 12 aprile la Cappella della Sindone a Torino, è devastata da un incendio.

     

    Aforisma dal Profeta Geremia

    “Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso: per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere.”

     

    Preghiera

    Perdona, o Signore, le colpe del tuo popolo, e, poiché la nostra debolezza ci ha resi schiavi del peccato, la tua misericordia converta a te i nostri cuori. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per i secoli dei secoli. Amen

     

    Santo del giorno

    S. STANISLAO MARTIRE

    Nato a Szczepanowski, Polonia, nel 1030 dai suoi genitori imparò a pregare, a evitare i frivoli divertimenti, a imporsi delle piccole rinunce e ad accettare i disagi della vita. Dopo i primi studi, egli fu inviato a completarli dapprima a Gniezno, celebre università della Polonia, poi a Parigi, dove per sette anni si applicò allo studio del diritto canonico e della teologia.

    Per umiltà rifiutò il grado accademico di dottore. Nominato Vescovo di Cracovia, fu pastore sapiente e sollecito e succedette al vescovo Lamberto nel 1072. Intrepido sostenitore della libertà della Chiesa e della dignità dell’uomo, difensore dei piccoli e dei poveri, subì una feroce persecuzione prima e il martirio eseguito con spaventosa crudeltà poi sotto il re Boleslao II Cracovia, Polonia, 11 aprile 1079. 

    Stanislao fu canonizzato da Innocenzo IV ad Assisi nel 1253 ed è patrono della Polonia. Le sue spoglie, custodite nella cattedrale di Cracovia, sono state e continuano a essere mèta di pellegrinaggio attraverso i secoli.

     

    Parola di Dio del giorno Giovanni 10,31-42

    In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».

    Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre».

    Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

     

    Riflessione Dal blog di Costanza Miriano

    È noto che i ragazzi oppongono alle idee dei genitori una forza uguale e contraria che si chiama adolescenza, ed è il mezzo che la natura adopera per fare volare gli aquilotti dal nido. Rendere mutualmente insopportabile la convivenza, invise le idee, esasperanti i confronti, in maniera che la separazione sia desiderabile, agognata.

    Naturalmente il grosso lo fanno i figli: per citare Guccini, a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età. Ma anche tra gli adulti talvolta mica si scherza. Non sempre anzianità si accompagna a saggezza. Poi però gli anni passano, e all’improvviso i giovani cresciuti scoprono le verità che un tempo avevano disprezzato.

    Ci si rende conto di quanto si sia drammaticamente simili ai propri parenti; perché quando si cresce in un campo di cipolle l’odore ti rimane addosso. Ti accorgi che il vivere è una eterna riscoperta di ciò che non sapevi di sapere, che forse non ci sarà niente di nuovo sotto il sole ma imparare quello che c’è è un’avventura che non ha fine. Ritorni, e anche le differenze di idee non sembrano più così importanti. 

     

    Intenzione di preghiera

    Perché la Pasqua ormai vicina intensifichi in noi la ricerca di Dio e il compimento della sua volontà.

     

    Don’t Forget! Dante alighieri: Divina Commedia Inferno Canto III (parte 7.a)

    PERSONAGGI PRINCIPALI DEL 3° CANTO DELL’INFERNO

     

    3° PERSONAGGIO: CARONTE

    Oltre a Dante e Virgilio, l’unico personaggio vivente a cui, nel 3° Canto, l’autore dà spazio è Caronte che nella mitologia greca era figlio di Erebo e Notte (Nyx), due divinità primordiali legate all’oscurità e alla notte. Caronte è lo PSICOPOMPO DELL’ADE, colui cioè che trasporta i defunti (psico = anima – pompo = trasporto) attraverso l’Acheronte, fiume che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. Ma solo le anime dei defunti sepolti con la moneta (=obolo) posta sotto la lingua o sugli occhi, potevano ottenere il passaggio.

    Le anime che non ricevevano una sepoltura adeguata o non avevano l’obolo erano condannate a vagare per l’eternità lungo le sponde del fiume. Caronte è descritto come vecchio scorbutico, dai modi ruvidi e dal fare poco amichevole, che trasporta le anime sulle acque torbide e nere del fiume in una barca scura e malconcia, senza sentire pietà o emozioni. Il passaggio del fiume Acheronte che simbolizza il confine tra vita e morte, è rito di passaggio che segna l’ingresso definitivo delle anime nel mondo sotterraneo dell’Ade.

    Nel libro IV dell’Eneide, Virgilio, inserisce Caronte in occasione della discesa agli inferi di Enea. Dante però ne accentua i tratti demoniaci («Caron dimonio con gli occhi di bragia…») che diventa così figura diabolica, essere furioso il cui tratto principale è l’odio che nutre per sé stesso e le anime. Ma Caronte assume anche una funzione didattica e profetica: didattica perché ribadisce alle anime –e ai lettori– ciò che troveranno una volta arrivati nell’inferno. Profetica perché predice a Dante il futuro approdo al Purgatorio e, di conseguenza, la salvezza della sua anima.

     

    LA PENA DEL CONTRAPPASSO

    Dante colloca gli ignavi nell’Antinferno; la loro non è colpa teologicamente riconosciuta (non c’è fra i 7 vizi capitali) perché non avendo preso decisioni, essi hanno vissuto senza meriti ma anche senza demeriti, e di per sé non hanno fatto nulla di male, ma neanche di bene. Per questo Dante colloca gli ignavi non all’Inferno, ma nell’Antinferno, che si prefigura come luogo del giudizio dell’uomo. In ogni modo, alle anime degli Ignavi Dante infligge una dura pena: quella di correre incessantemente, nudi, dietro una insegna priva di significato, tormentati dalle punture di vespe e mosconi fino a sanguinare; il loro sangue è, infine, raccolto da vermi che si muovono ai loro piedi.

     

    Le pene cioè sono inflitte in funzione dei peccati commessi in vita. La descrizione della pena risulta sempre realistica, ricca di particolari duri, crudi e spesso ripugnanti. Le condanne scelte da Dante per le anime peccatrici seguono una regola precisa, che il poeta riprende dalla Bibbia e dalla giurisprudenza medievale: è la LEGGE del CONTRAPPASSO.

    Nella Divina Commedia i tipi di contrappasso son 2:

    1) Contrappasso per analogia: dove la pena è simile al peccato (ad es. come la loro esistenza è stata ripugnante, perché priva della scelta che dà senso all’agire dell’essere umano, così a raccogliere il loro sangue e le loro lacrime ci sono dei vermi ripugnanti).

    2) Contrappasso per contrasto: la pena rovescia le caratteristiche del peccato (ad es. come in vita non hanno seguito alcun ideale, così gli ignavi ora sono costretti a correre per sempre nudi dietro a un’insegna priva di significato).

    Quello di Dante è un richiamo di non poco rilievo per un tempo e un mondo come il nostro che non sa, anzi non vuole decidere, perché teme di rischiare

     

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