mercoledì 7 novembre ’18

    XXXI Settimana del tempo ordinario

     

     

     

    Proverbio del giorno (Etiopia)

    Quando a richiamare la capra nell’ovile sono in molti, questa finisce per restare fuori tutta la notte.

     

    Iniziamo la giornata pregando

    Ti preghiamo, Signore, per tutti i parenti, amici, conoscenti che nel corso di questi anni ci hanno lasciati. Per coloro che in vita hanno avuto fede in te, che in te hanno riposto ogni speranza, che ti hanno amato, ma anche per coloro che di te non hanno capito nulla e che ti hanno cercato in modo sbagliato e ai quali infine ti sei svelato come veramente sei: misericordia e amore senza limiti. Fa’ o Signore che veniamo un giorno tutti insieme a fare festa con te in Paradiso. Amen.

     

    VILLIBRORDO

    A trent’anni divenne prete, dopo insieme a 11 compagni si dedicò a evangelizzare Frisia (Paesi Bassi) e parte della Germania. La consacrazione episcopale, ricevuta a Roma, avvenne nel 695, nella festa di S. Clemente, così che il papa gli diede il nome di Clemente. Per parecchi anni, percorse la Frisia, la Fiandra, il Lussemburgo e le rive del Reno predicando e costruendo conventi. Dopo una vita di preghiera e impegno pastorale, morì a 81 anni.

     

    La Parola di Dio del Giorno (Luca 14,25-33)

    In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

     

    BREVE COMMENTO AL VANGELO

    Essere discepoli di Cristo significa avere scelto e deciso di seguirlo, significa avere scelto Cristo come il punto di riferimento della e nella nostra vita.  Lo seguiamo perché lo amiamo e abbiamo fondato su lui, e solo su lui, il nostro progetto di vita. Vivremo, nonostante tutto, infedeltà ed errori quotidiani, ma non saranno questi a troncare la nostra sequela se sapremo accettarli e viverli come limite e quindi come parte della croce che ogni giorno ci è chiesto di portare.

     

    La riflessione del giorno (Racconti dei Chassidim)

    Uno scolaro domandò a Rabbi Shmelke: «Ci è comandato di amare il nostro prossimo come noi stessi. Come posso farlo se egli mi ha fatto un torto?». Il Rabbi rispose: «Devi comprendere queste parole nel loro giusto significato, che è: ama il prossimo tuo come qualcosa che tu stesso sei. Tutte le anime infatti sono una cosa sola; e ognuna è una scintilla dell’anima originale, che è insita in tutte le anime allo stesso modo come la tua anima è compenetrata in tutte le tue membra. Può accadere che la tua mano si sbagli e ti colpisca. Ma prenderai tu forse allora un bastone e la castigherai per la sua mancanza di comprensione, accrescendo così il tuo dolore? Lo stesso si applica al tuo prossimo, che con te forma un’anima sola: se egli, per ignoranza, ti fa un torto e tu lo punisci, non fai che colpire te stesso». Ma quello insisteva: «Ma se vedo che un uomo è malvagio al cospetto di Dio, come potrò amarlo?». Gli rispose il Rabbi: «Ignori forse che l’anima primordiale scaturì dall’essenza di Dio e che l’anima di ogni uomo è una parte di lui? E non avrai allora pietà di quell’uomo, vedendo che una delle sue scintille si è smarrita ed è quasi spenta?».

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo per tutti gli ex-allievi, collaboratori e dipendenti defunti del Patronato

     

    Don’t forget! 

    IL PERSONAGGIO DELLA SETTIMANA: I SANTI DELLA CARITA’

    GEROLAMO EMILIANI (MIANI) (1486-1537)

     

    Girolamo Miani nacque a Venezia nel 1486, ultimo dei 4 figli di Angelo e Dionora Morosini. La famiglia apparteneva all’aristocrazia veneziana che faceva parte di diritto del Maggiore Consiglio ed esercitava le cariche della Repubblica Veneta. Girolamo fu coinvolto nella guerra che oppose Venezia all’Imperatore di Germania e Austria, a papa Giulio II e al re di Francia. Nel 1511 era comandante del presidio di Castelnuovo di Quero: espugnata la fortezza da forze nemiche, fu fatto prigioniero e miracolosamente liberato da una Donna vestita di bianco, identificata con la Vergine Maria che gli consegnò le chiavi per aprire i ceppi e la porta della prigione. Passò inosservato tra le truppe nemiche e si rifugiò a Treviso. Da allora abbandonò la vita mondana e iniziò un sofferto cammino spirituale, benché continuasse a prestare servizio alla Repubblica fino al 1527. Ritornato a Venezia, prese a frequentare i soci della Compagnia del Divino Amore che miravano ad una seria riforma personale e della Chiesa, soprattutto attraverso le opere di misericordia, da esercitare secondo l’Amore divino. Non si dimentichi che questi erano i tempi della diffusione in Europa della Riforma Protestante, iniziata da Lutero nel 1517. Girolamo si mantenne fedele alla Chiesa Cattolica, preoccupandosi di riformarla al suo interno, senza ribellioni. Rinunciò ai suoi beni per seguire Cristo, ponendosi a servizio dei poveri e orfani. Nel 1528 era scoppiata una terribile carestia nel Nord Italia, cui seguì un’epidemia mortale: Venezia fu invasa da turbe di disperati, che trovarono in Girolamo uno dei più convinti e generosi benefattori. Passava da un luogo all’altro in città e “quelli ch’erano infermi e vivi sovveniva con tutte le sue forze e i corpi dei morti, che alle volte trovava per le strade, sopra le spalle portava ai cimiteri e ai luoghi sacri” (Testimonianza di un amico che fu anche suo biografo). Per i numerosi orfani predispose una casa con laboratorio e bottega, ove si vendevano i prodotti del loro lavoro, esperienza importante per l’assetto delle future case da lui fondate. Su richiesta del vescovo di Bergamo Pietro Lippomano, i dirigenti del Divino Amore di Venezia, tra cui figuravano personalità come S. Gaetano Thiene e Paolo Carafa, il futuro papa Paolo IV, lo inviarono a Bergamo nel 1532 per organizzare le opere di carità. Dopo aver sostato a Padova, Vicenza, Verona, Brescia, giunse a Bergamo, dove era atteso. Nel sobborgo di S. Leonardo (oggi Borgo S. Alessandro) in alcuni locali adattati dai dirigenti dell’ospedale della Maddalena – situata all’inizio dell’attuale via Borfuro – raccolse orfani e derelitti; le orfane trovarono una casa vicina al Pozzo Bianco, in Città Alta. Un’altra miseria, che colpiva pesantemente la città, era la prostituzione. Egli si mise alla ricerca delle donne dedite a questa vita, le affrontava, ragionava con loro lungamente. Riuscì a convincerne un buon numero a cambiare vita e le riunì in una casa della contrada di Pelabrocco, dove alcune nobili signore si erano offerte per assisterle.

    Al 1532 risale l’istituzione della prima Compagnia dei poveri, formata dagli orfani e i loro educatori, i futuri padri Somaschi. Agli orfani veniva insegnato a leggere, scrivere e a imparare un mestiere; erano diretti dai religiosi che rinunciavano al mondo e ai beni, per vivere secondo la regola del Vangelo. Essi si preoccupavano della formazione, perché l’aspetto amministrativo/organizzativo era affidato a una Congregazione di cittadini nobili, che seguivano la vita dell’Istituto, impegnandosi nella raccolta dei mezzi necessari per la prosecuzione della sua attività. In tal modo Girolamo riusciva a coinvolgere nelle sue iniziative benefiche tutta la città. Tra i collaboratori figurano nobili, come Domenico Tasso, G.Francesco Albani, Mario Lanzi e i mercanti Girolamo Sabbatini e Ludovico Viscardi. Analogamente, a una Compagnia di nobili dame aveva affidato le orfane e la casa delle ex prostitute o “convertite”. Durante i suoi viaggi il Miani aveva potuto osservare l’enorme ignoranza delle popolazioni della campagna, abbandonate da un clero in larga parte impreparato. Diede allora vita a vere missioni catechistiche. Istruì accuratamente alcuni dei suoi fanciulli, con i quali visitò il contado bergamasco, spingendosi fin verso Crema. Durante la giornata divideva con i contadini il duro lavoro dei campi, poi la sera li radunava ad ascoltare i suoi orfani, che esponevano le verità di fede “invitandoli a pensare alla beata vita del santo Evangelo”. Insegnava loro anche canti religiosi, coi quali avrebbero potuto accompagnare la loro fatica. Visti i bisogni e i frutti di rinnovamento cristiano, Girolamo portò quest’esperienza in altre città: Pavia, Como, Brescia. Particolarmente importante fu la fondazione di Milano. Nel novembre 1533 un gruppo di 35 orfani lasciava Bergamo diretto a Milano. Li guidava un uomo che vestiva una lunga veste nera, calzava scarpe grosse e aveva in capo una berretta di panno nero. Un povero all’aspetto, che andava elemosinando per amor di Dio, con la sacca in spalla per sé e per i suoi: era Girolamo che a Milano fondò il celebre orfanatrofio dei ” Martinitt”. Esteso in tutta la Lombardia, il movimento aveva bisogno di un centro che Girolamo individuò nel villaggio di Somasca, ai confini della Repubblica Veneta con il Ducato di Milano.  Coi suoi compagni si stabilì sulla Rocca del castello, ridotto a un rudere pochi anni prima. Le costruzioni che si aggiunsero permisero di istituire un orfanatrofio, che raccoglieva i ragazzi dei dintorni. Anche qui Girolamo ripeteva spesso le puntate nelle campagne, accompagnato dai suoi ragazzi, per lavorare, impartire l’istruzione catechistica e soccorrere poveri e malati. Tutta questa attività era sostenuta da ore di preghiera, alle quali Girolamo si abbandonava lungamente. Con delle canne aveva chiuso una grotta sotto lo sperone della montagna e ricavato l’eremo, il luogo prediletto dove pregava sotto una croce di legno. Chi lo conobbe sottolineava la vita austera di penitenza che conduceva: mangiava il pane più duro; non beveva vino, se non raramente e frequentemente digiunava; si disciplinava con i flagelli e dormiva sopra assi, paglia e pietre. Sul finire del 1536 una malattia infettiva invase la valle S. Martino. Girolamo ancora una volta fu pronto al servizio di tutti, sia in casa, dove molti erano stati colpiti dal male, che fuori casa. Purtroppo anch’egli contrasse la peste. Il 4 febbraio fu raccolto a Somasca in una stanzetta di amici. Prima di adagiarsi definitivamente su un letto non suo, tracciò una croce sulla parete di fronte. Quattro giorni dopo, nella notte tra il 7 e l’8 di febbraio moriva. La Chiesa lo ha proclamato beato nel 1748 e santo nel 1767. Pio IX lo ha dichiarato patrono degli orfani e della gioventù abbandonata del mondo. Il santuario di Somasca, in cui si conserva la tomba, è ancora oggi meta di numerosi pellegrinaggi.

    (Articolo di Don GOFFREDO ZANCHI che ringraziamo caramente).

     

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