Giovedì 11 maggio 2023

     

    Va Settimana di Pasqua 

     

    Aforisma di Georg Christoph Lichtenberg (1742-1799)

    Tra le maggiori scoperte fatte dall’intelligenza umana negli ultimi tempi va annoverata, secondo me, l’arte di giudicare i libri senza averli letti.

     

    Preghiera Colletta

    O Dio, che per tua grazia da peccatori ci fai giusti e da infelici ci rendi beati, compi in noi le tue opere e sostienici con i tuoi doni, perché a noi, giustificati per la fede, non manchi la forza della perseveranza.

    Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen

     

    Santo del giorno

    S. Ignazio di Laconi

    Ignazio nacque a Laconi nel 1701. Nel piccolo paese vicino alle montagne del Gennargentu, crebbe timorato di Dio e ancora adolescente già praticava digiuni e mortificazioni. Indossò il saio francescano, nonostante la sua gracile costituzione, e fu dispensiere ed umile questuante nel convento di Iglesias e poi in altri conventi.

    Dopo quindici anni, fu richiamato a Cagliari nel convento del Buon Cammino. Qui, lavorò nel lanificio e come questuante in città, svolgendo per 40 anni il suo apostolato tra poveri e peccatori, aiutando e convertendo. La gente lo chiamava “Padre santo” e anche un pastore protestante, cappellano del reggimento di fanteria tedesco, lo definì ‘un santo vivente’.

    Divenuto cieco due anni prima della morte, fu dispensato dalla questua ma continuò a osservare la Regola come i suoi confratelli. La sua morte nel 1781 fu pianta come la scomparsa di un amico, di una persona cara di cui si pensava impossibile un giorno la dipartita.

     

    Parola di Dio del giorno Giovanni 15,9-11

    In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

     

    Riflessione del giorno

    Etty Hillesum: da: “Il talento di vivere tutto”

    “Bene, questa nuova certezza io l’accetto. Ora lo so: (i nazisti) vogliono il nostro totale annientamento. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall’altra.

    Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia. La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio – così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri.

    Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov’essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto daccapo, e con tanta fatica. Non è anche questa un’azione per i posteri?

     

    Intenzione di preghiera

    Preghiamo con riconoscenza per tutti i benefattori vivi e defunti del Patronato S. Vincenzo.

     

    Don’t Forget! Santi e Beati della carità

    Beato Don Enrico Rebuschini 1860-1938

    Nato a Gravedona (Como) nel 1860, Enrico Rebuschini a 18 anni sente di avere la vocazione, ma la cosa non viene ben vista dalla famiglia della buona borghesia lombarda. Il padre però alla fine cede ed Enrico entra a 24 anni nel seminario di Como.

    Poi va al Collegio Lombardo di Roma, ma una crisi depressiva lo riporta in famiglia. Ritrovato l’equilibrio si impegna per i più bisognosi. Il confessore lo orienta ai Camilliani e, dopo un’illuminazione avuta davanti a un quadro di Camillo de Lellis, a 27 anni entra in noviziato.

    Con dispensa il vescovo di Mantova Giuseppe Sarto (futuro Pio X) lo ordina prete già due anni dopo. Svolge il suo ministero per 10 anni a Verona e dal 1899 alla morte, avvenuta nel 1938, nella casa di cura S. Camillo di Cremona. È beato dal 1997.

    Verso la santità, partendo dalla depressione e ricascandoci più di una volta: eppure aveva iniziato da studi liceali con risultati splendidi, che facevano sognare i suoi. Il padre si aspettava molto da lui, secondo di cinque figli e così dotato di quanto occorreva per il successo nelle professioni, nell’attività economica.

    Lui però da una parte si sentiva chiamato a operare per gli altri; dall’altra lo bloccavano la sfiducia, le paure e le delusioni dei primi sforzi per trovare una strada dopo gli studi. Inoltre la via del seminario gli era bloccata dalla contrarietà del padre il quale però deve rassegnarsi, quando Enrico a 24 anni si fa seminarista a Como. Qui fanno presto a scoprire le sue doti e lo mandano a studiare teologia nell’Università Gregoriana di Roma. Riprende lo slancio degli anni liceali, ma l’aggredisce una forma grave di depressione.

    Perciò, ritorno in famiglia, poi ricovero in casa di cura. La ripresa è lenta e non definitiva, ma la sofferenza lo orienta e gli precisa la vocazione. Enrico scopre il mondo dei malati e scopre che dovrà vivere con loro e per loro: anche perché è come loro. Un’illuminazione simile a quella che nel ’500 ha orientato il soldato di ventura Camillo de Lellis, ricoverato all’ospedale romano di S. Giacomo degli Incurabili con una piaga sempre aperta in un piede. S. Camillo lo “cattura” attraverso la frequentazione degli ammalati, la preghiera, i suggerimenti del suo confessore.

    Nel 1887, a 27 anni, Enrico va a Verona ed entra come novizio tra i Camilliani. Dopo due anni di noviziato, il 14aprile 1889 è ordinato prete da Mons. Giuseppe Sarto, vescovo di Mantova e futuro papa Pio X. Lavora per dieci anni a Verona, insegnando ai novizi dell’ordine e assistendo i malati. Nel 1899 è con i Camilliani a Cremona, prima nella casa di cura di via Colletta, poi in quella di via Mantova e vi resterà per quasi 39 anni, fino alla morte. Qui sarà economo per 33 anni; e per 19 superiore, in tre periodi.

    Infermiere, sempre, fedelissimo agli Ordini e modi prescritti da S. Camillo per il rapporto con gli infermi che tratta con “carità”, “diligenza”, “piacevolezza” “mansuetudine”, “rispetto”, “onore”. Per Enrico Rebuschini, tutti coloro che la malattia costringe a letto sono i “Signori malati”; vicini a Dio, e perciò potenti, proprio a causa della loro sofferenza.  Mentre lui «più volte nel corso della sua vita portò la croce di grandi sofferenze interiori, che non gli impedirono tuttavia di progredire nelle vie del Signore». E ha continuato a sostenere ogni altro “portatore di croce”, fino all’ultimo giorno.

     

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