“Don, sono venuto a salutarti, perché domani vado via…” chi parla così è un africano riservato a tal punto che in due anni è questo il discorso più lungo che mi abbia rivolto. “Dove vai?”. “In Libia”. “Ti ha dato di volta il cervello? Guarda che dalla Libia stanno scappando tutti…”. “Sarà, ma è l’unico paese dove ho lavorato. E lì c’è mio figlio”. In uno stentato italiano racconta la sua via crucis: l’attraversamento del Sahara fino alla terra promessa dove trova un impiego che fa sperare nel futuro…Ma il crollo giunge improvviso e rovinoso. Con la caduta di Gheddafi, cade anche lui: perde l’impiego, la moglie l’abbandona, il figlioletto muore e lui, rimasto solo, viene imbarcato a forza per l’Italia. ”La Libia è in mano all’Isis e tu sei cristiano, ti uccideranno…” tento di convincerlo. “Meglio morire che vivere così, senza dignità, facendomi mantenere…e se morirò, ritroverò mio figlio”. Gli strappo il biglietto dalle mani: “Tu rimani qui”. Un mese dopo, raggiante mi mostra una busta: “E’ il primo stipendio” sussurra pieno di gratitudine. Mi consegna la metà del salario in contanti: “Dalli a chi non ha nulla”. E prima che possa reagire, scappa via.

    – don Davide –

     

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