Conclusione Patronato in Festa 2023

     

    Oggi condivido passaggi di cronaca della giornata ex allievi tratta da L’Eco di oggi. Scrive Vincenzo Guercio: «Un dipinto che rappresenta un po’ «tutta la storia del Patronato San Vincenzo», lo spirito che lo ha animato in quasi cento anni di vita, la cura che il fondatore, don Bepo Vavassori, riservava, paternamente (e maternamente), ai suoi molti «figli» adottivi.

    Ieri mattina, per il terzo giorno del «Patronato in Festa», nella Sala della Biblioteca della Casa del Giovane di via Gavazzeni, è stato presentato il restaurato dipinto del pittore leccese Antonio Massari, che rappresenta una «Epifania laica», stesa quasi sessant’anni fa e originariamente destinata all’ingresso della Casa di Endine. L’artista, novantunenne, non ha potuto essere presente, ha però comunicato di essere «molto felice che la tela, riportata alla sua versione originaria con grande rispetto e abilità» – dal restauratore bergamasco Andrea Disipio, presente in sala – «abbia trovato collocazione in un luogo che prosegue l’opera di accoglienza dei bisognosi iniziata da don Vavassori. A distanza di tanti anni dipingerei lo stesso lavoro: l’ideale di aiuto alle persone in difficoltà è, ancora oggi, di grande attualità». «Il Patronato – spiega il suo superiore, don Davide Rota – sta conoscendo una sorta di rilancio». I benefattori, tra cui Elio Berlai, che ha sostenuto il restauro dell’olio su tela di Massari, «non sono mai mancati. A breve partirà anche il restauro, assai più impegnativo dell’edificio del Patronato. Nel 2027 celebreremo il centenario. Questo quadro racconta la nostra storia».

    Il presidente dell’Opera diocesana Patronato San Vincenzo, Massimo Cincera, ha tenuto a ringraziare don Arturo Bellini, vicepostulatore della causa di beatificazione di don Bepo, per l’impegno a rinvenire e riordinare con vari collaboratori isuoi appunti. È appunto don Arturo a illustrare il dipinto (una descrizione criticointerpretativa è stata redatta da Marta Fabretti, e sarà messa a disposizione dei visitatori) nei suoi significati: «Questa singolare Natività o “Epifania laica” è figura simbolicamente forte della paternità adottiva. Punto focale è San Giuseppe, seduto, che tiene sulle ginocchia il bambino». È questo senso di paternità adottiva che «evoca don Bepo, padre adottivo per tanti orfani, figli di emigranti, bambini e giovani operai e studenti che hanno trovato in lui una figura di riferimento». Diverse le testimonianze di ex allievi raccolte e citate da don Arturo: tra queste, quella di Mario Cavallini, presidente emerito dell’associazione ex allievi: arrivato al Patronato il 17 marzo 1943, accolto senza esitazione dal fondatore, perde il padre l’anno seguente: «La figura di don Bepo l’ho percepita non solo come un padre autorevole che ti fa da guida nella vita, ma anche come madre che sa leggerti nell’anima e darti il conforto e sostegno di cui hai bisogno». Tino Sana, noto imprenditore scomparso nel 2020, aveva intitolato un fascicolo di sue memorie: «La presenza di Don Bepo nella “storia” di un figlio».

    L’attività delle varie case del Patronato prosegue attraverso la cura e la formazione, spirituale e professionale, di «oltre duemila studenti a Bergamo, Endine, Clusone e Centro Meta; cento minori a Sorisole; oltre mille bambini alla Ciudad del Niño in Bolivia». Nelle prossime settimane, informa don Arturo, saranno rieditati e ampliati, sino al numero di 500, i «Frammenti di vita» pubblicati su L’Eco da don Davide Rota: racconti che offrono «uno spaccato autentico del crocevia di popoli e culture oggi accolte dal Patronato». Alle 11, Messa presieduta dal superiore, concelebrata da don Arturo Bellini, don Giuseppe Bracchi, don Jan Heffer e don Dario Acquaroli, che guida la comunità di Sorisole. Alla fine, il vicepostulatore informa che «i preliminari della causa di beatificazione di don Vavassori procedono. Tutto il materiale è stato mandato dal nostro vescovo a Roma, si attende che arrivi, entro fine anno, il nullaosta per aprire poi l’inchiesta diocesana con l’istituzione del tribunale, per ascoltare le testimonianze, dirette e indirette, sulla figura di don Bepo».

    Don Arturo Bellini

     

    Il “Patronato S. Vincenzo di Endine Gaiano” Olio su tela di Antonio Massari restaurato da Andrea Disipio

     

    Presentazione a cura di Marta Fabretti

    Laureata in Scienze dei beni culturali.

    Attualmente collaboratrice con l’Ufficio per la Pastorale della Cultura per il progetto de Le Vie del Sacro.

    Una folla silenziosa si avvicina lentamente, ma progressivamente. Un insieme di teste si offrono allo sguardo in forme sinuose di corpi leggeri e di visi appena abbozzati nei tratti principali. La moltitudine sembra voler sbordare la cornice che la rinchiude, come in una cella di troppo piccole dimensioni per giungere a noi. Ma osservando meglio non siamo noi i diretti interlocutori. Gli guardi sono rivolti a sinistra, verso il basso della grande tela di Antonio Massari.

    Sono sguardi che comunicano una dolce tranquillità in movimento. Chi li guarda oggi non li sa riconoscere, ma l’artista che li ha dipinti li conosceva uno ad uno. Sono uomini, donne, ragazzi e bambini del Patronato S. Vincenzo di Endine Gaiano”, in cammino. Vien voglia di chiedere: perché guardate in basso? E quali pensieri guidano i vostri passi? Perché il cuore vi sta convogliando in quel luogo?

    La risposta è venuta dall’artista grazie a una conversazione telefonica con l’insegnante Anna Castelli, che gli è vicina da quasi mezzo secolo. «Tutte le Natività nell’arte sono di solito rappresentate al femminile, qui invece è un uomo, un padre, che tiene tra le braccia il Bambino. In questo personaggio Massari ha ritratto un
    inserviente che lavorava al Patronato, Giacomino, che in inverno per proteggersi dal freddo indossava un mantello/tabarro scuro e un basco». San Giuseppe che nei Vangeli non parla e vive nel nascondimento, trova in questo quadro voce da protagonista con la missione di custodire il Bambino Gesù che tiene sulle ginocchia e tra le sue braccia. Si tratta una “epifania laica” come fu denominata da Piero Cao, vicedirettore del Patronato di Endine. L’Epifania è manifestazione della volontà divina di salvezza per tutti i popoli, perché solo nell’incontro con il volto del Signore il cuore di ciascuno ritorna a essere “cuore di bambino” capace di stupore. Ed è anche un’intuizione felice: siamo infatti abituati a contemplare la Madonna come Madre. In questo caso, invece, l’accento è posto sulla paternità putativa di San Giuseppe.

    Nella tela che esalta la figura di Giuseppe, manca allora Maria? Osserviamo attentamente. All’interno del cerchio di Angeli sono presenti ben tre bambini che portano doni: rappresentano i re magi, mentre la giovane donna dai capelli corti neri accanto al Bambino Gesù è la Madonna, ritratta secondo la fisionomia di Cristina, fidanzata del pittore. La Madre veglia sul figlio, sicura della protezione che solo un padre può dare con le sue braccia forti e sicure al Bambino Gesù. La Madonna, nata senza peccato originale è qui incarnata nell’animo puro ed innocente di una giovane.

    Tra le figure delle prime file si distinguono giovani con il capo cinto di una corona d’oro e con in fronte la stella lucente dell’Annunciazione. Gli Angeli hanno gli occhi chiusi e le mani giunte. Sono assorti in preghiera con le ali aperte tese a rafforzare il cerchio che compongono con i loro corpi. Vogliono proteggere e suggellare nella loro contemplazione un gesto di profondo amore. Il movimento circolare viene completato da un giovane che solleva le braccia al cielo. Dal volto e dal corpo trapela uno sguardo incantato e il braccio in atteggiamento orante lascia intuire un cuore che prega e ringrazia per lo straordinario evento. Indossa un gilè rosso che fa risaltare la bianca colomba che, secondo la tradizione cristiana, indica la Pace e manifesta la divina volontà di
    alleanza. La colomba, portata in dono da un bambino, è offerta da un animo semplice in asse col Bambino Gesù, custodito e protetto dalle braccia forti di San Giuseppe. Nella grande tela vi è dipinto anche un cane. Rappresenta la fedeltà. Questo dolce cucciolo sta in basso e volge la testa verso il bambino, anche lui è curioso di vedere lo speciale avvenimento.

    Da ultimo nel silenzioso fragore del gruppo, a destra di chi guarda, è rappresentata una figura enigmatica e strana che si copre il viso con una mano e con l’altra si chiude la bocca. Si zittisce. Ha intuito che quel bambino come dicono le profezie: «è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione!». Parlano però le sue vesti: colori scuri e poco rassicuranti, come anche poco rassicurante sono le macchie di rosso vivo sui suoi abiti. Il doloroso martirio di Gesù è evocato anche dal colore rossastro della pettorina di san Giuseppe: allusione alla morte in Croce di Gesù, ma anche alla spada che trapassa il cuore di Maria e suo per l’ostilità crescente che avverte intorno al figlio adottivo. Il colore grigio delle vesti è anche segno dell’umiltà di Giuseppe e della sua obbedienza nell’accettare il progetto di Dio nel quotidiano.

    Da ultimo la dedica, nell’angolo a destra in basso che recita: «Al Piccolo Principe, ai Bambini, al Direttore don Giovanni Fogaroli, a Piero, a Lei». Il pittore Massari intende ringraziare Gesù, il Piccolo Principe, per la possibilità datagli di esprimersi attraverso una tavola di colori che diviene il suo manifesto di vita; di seguito si rivolge ai bambini del Patronato ed ai committenti dell’opera, appunto don Fogaroli e Piero Cao, direttore e vicedirettore del Patronato di Endine, per concludere con un affettuoso ricordo dell’amata Cristina.

    Lo stesso pittore in una lettera indirizzata in questi giorni a mons. Arturo Bellini ha scritto: «Avevo 32 anni quando dipinsi questa tela di grande formato da collocare nell’ingresso del Patronato. A distanza di tanti anni dipingerei lo stesso lavoro, l’ideale di accoglienza e di aiuto delle persone in difficoltà è ancora oggi di grande attualità, e in questo risiede l’opera altamente meritoria di Don Bepo».

    L’artista ha dato a San Giuseppe il volto di Giacomino, un inserviente che lavorava al Patronato. L’andare dei ragazzi e dei giovani verso il Bambino Gesù è atto di adorazione al Figlio di Dio fatto uomo, ma è anche un grande abbraccio di riconoscenza e di affetto verso San Giuseppe e di riflesso su don Bepo, che ha portato in cuore ogni allievo del Patronato e li ha accompagnati verso il loro futuro. Accoglienza, cura e formazione professionale e spirituale sono realtà fondamentali che hanno trovato nel Patronato di don Bepo e dei suoi successori una feconda continuità carismatica.

    Condividi questa!

    Informazioni sull'autore

    Potrebbe piacerti anche

    Nessun commento

    È possibile postare il commento di prima risposta.

    Lascia un commento

    Please enter your name. Please enter an valid email address. Please enter a message.

    WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com