giovedì 14 ottobre ’21

     

    28a Settimana del tempo ordinario

     

    Aforisma del giorno – Johann Gottfried Herder

    I due maggiori tiranni del mondo sono il caso e il tempo.

     

    Preghiera del giorno – Alexander Heidler

    Nostro Dio, fa’ che ti vediamo in tutte le cose che tu hai creato e che ti cerchiamo al di sopra di tutte le cose, e che ti amiamo al di sopra di tutte le creature.

    Tutto ciò che è vero che è buono, bello e porta gioia nelle creature, deve ricordarci Te, Amore eterno. Per tutti i tuoi doni noi ti ringraziamo; ogni cosa, anche piccola, è un riflesso della tua grandezza.

    Fa’ che non dimentichiamo che ciò che è bello nella tua creazione è un preannuncio di ciò che ci aspetta e godremo in te nell’eternità. Amen.

     

    Santo del giorno

    S. CALLISTO 1° (Papa dal 217 al 222) Ebbe molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma e da uno scritto del capo di questi, un antipapa, abbiamo le notizie sul suo conto, presentate in modo tendenzioso. Vi si legge che, prima di diventare papa, era stato schiavo e frodatore.

    Fuggito in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma, venne incaricato da Papa Zeffirino della cura dei cimiteri della Chiesa. Iniziò così lo scavo delle catacombe lungo la via Appia che portano il suo nome.

    Alla morte di Zeffirino, Callisto venne eletto papa, ma si attirò le inimicizie di un’ala della comunità cristiana che lo accusò di eresia. Il riscatto definitivo venne dal martirio: fu gettato in un pozzo di Trastevere in una sommossa contro i cristiani nel 222.

     

    La Parola di Dio del giorno – Luca 11,47-54

    Il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.

    Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario.

    Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».

    Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

     

    Riflessione del giorno

    Domani, e domani, e domani, / striscia a passi lenti il tempo che ci è assegnato / di giorno in giorno fino alla sua sillaba estrema.

    Lenta ma implacabile come una colata di lava avanza il fiume del tempo che ci è stato assegnato. Sembra così lunga la distesa di quei «domani, e domani, e domani» da permetterci di non badare al loro uso e consumo.

    E così, all’improvviso ci resta tra le mani solo la sillaba estrema del discorso della vita. C’è stato qualche teologo che ha pensato che Dio ci permette con quell’ultima parola di ribaltare il nostro destino, concedendoci una suprema istanza d’appello.

    Ma è anche necessario non sfidare quel Dio che pure ci ha donato tanti «domani», quando saremo giunti all’«oggi» definitivo senza più «domani» della nostra fine.

    Non abbiamo ancora detto chi sia l’autore della citazione: è il grande Shakespeare dell’indimenticabile Macbeth (V,5,19-21), ove impera la terribile moglie del generale del re di Scozia, Lady Macbeth, colei che in un crescendo di odio e di sangue saprà, sì, colmare i suoi giorni, ma che alla fine si troverà davanti alla «sillaba estrema» del rendiconto con la sua coscienza e precipiterà nel suicidio.

    «Sempre il puzzo del sangue! E tutte le essenze d’Arabia non riusciranno più a profumare questa piccola mano!» (V, 1). Raccogliamo l’invito del poeta a non lasciar scorrere nel vuoto o, peggio, nel male il fiume della vita fino all’ultima sillaba.

     

    Intenzione di preghiera per il giorno

    Perché approfittiamo del tempo concesso e non rimandiamo a domani quel che si può fare oggi.

     

    Don’t forget! Santi e beati della carità

    BEATO AGOSTINO THEVARPARAMPIL “KUNJACHAN” 1891-1972

    Che l’essere piccoli di statura non sempre sia un handicap lo testimonia DON THEVARPARAMPIL AGOSTINO che tutti chiamavano “kunjachan”, cioè piccolo prete, ma che proprio grazie alla sua statura bassa non faticava a entrare nelle basse capanne dei suoi parrocchiani, e quando giocava con i bambini si sentiva alla loro altezza.

    Nacque in India, in una famiglia cristiana, il 1° aprile 1891 e venne ordinato prete a 30 anni, il che fa pensare ad una vocazione tardiva oppure a qualche difficoltà nello studio.

    Perché lui è un po’ il Curato d’Ars dell’India: non colto, semplice, umile, ma dal cuore così grande da affascinare chiunque. Per 47 anni fu solo un “curato di campagna” e almeno 40 di questi furono dedicati ai poveri del villaggio, gli intoccabili, i “paria” quanti cioè non appartenevano a nessuna casta e tutto questo sebbene sia malaticcio.

    Scopre gli inavvicinabili per caso, durante una convalescenza, due anni dopo l’ordinazione e a loro dedica il suo ministero, combattendo contro l’ignoranza, i pregiudizi, l’analfabetismo e anche contro le critiche dei cristiani “per bene”, che non riuscivano a capire che cosa spingesse il prete verso quei disgraziati.

    La sua giornata iniziava alle 4.00 del mattino, dopo la Messa celebrata in parrocchia nel cuore della notte. Accompagnato solo da un catechista, andava a cercare i “paria” uno a uno, capanna per capanna, mentre ancora tentavano di sfuggirgli, pieni anch’essi di pregiudizi e superstizioni, schiacciati dalla discriminazione che li aveva spinti ai margini della società.

    Per vincere la diffidenza e farsi aprire la porta e il cuore li chiamava per nome e l’effetto era immediato su povera gente abituata a non essere neppure nominata. Con il vangelo portava un messaggio di speranza e di emancipazione.

    Teneva un diario con le informazioni dettagliate su questi suoi parrocchiani “speciali”, con l’indicazione di nascite, matrimoni, decessi: una specie di anagrafe insomma, a cui i paria per la società non avevano diritto.

    Se don Agostino, come si calcola, avvicinò a Dio e alla Chiesa più di 5.000 persone, ben più furono i “paria”, oggi chiamati “Dalit”, ad aver ricevuto da lui una spinta ad uscire dalla schiavitù in cui erano stati confinati dalle classi sociali più elevate.

    Perché sulla strada tracciata da don Agostino si sono incamminati altri tra cui M. Teresa di Calcutta. Per lui invece nessun riconoscimento, nessun particolare onore. Quando morì a 82 anni, il 16-10-1973, sfiancato dal pellegrinare porta a porta e le lunghe ore in confessionale, era conosciuto solo nel raggio di qualche Km.

    Oggi invece alla sua tomba accorrono da tutta l’India e il suo villaggio si è trasformato in centro fiorente e prosperoso mentre 60 mila persone hanno assistito alla sua beatificazione nel 2006.

     

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