La confessione e il motore del perdono

     

    «Posso confessarmi?» mi chiede un giovane. «Certo» rispondo. La cosa va per le lunghe, ma non c’è fretta: lo lascio parlare e mi limito a rispondere alle domande e alla fine il giovane sembra contento. «Mi sono trovato bene e tornerò ancora» mi fa. E io a lui: «Ben prima di quanto t’immagini» rispondo. Sorride e va nel banco per una preghiera. Senza farmi vedere esco di chiesa e l’aspetto.

    Quando esce a sua volta, gli dico: «Credo che tu abbia dimenticato una cosa». Mi guarda perplesso: «Non t’ho dato l’assoluzione» gli spiego. E lui: «È vero, ma ero così contento che non ci ho fatto caso». Allora gli faccio notare: «Da me hai avuto solo un po’ di sollievo e di consolazione, ma non basta: tu sei venuto perché avevi bisogno dell’assoluzione cioè del perdono che solo Dio può dare. Entriamo insieme a chiederglielo».

    Ho fatto questo ricordando un mio amico prete che, confessatosi da P. Pio e non avendo ricevuto l’assoluzione, non se n’era accorto per l’emozione di aver parlato con un santo. Salito in macchina, tentò più volte di accendere il motore, ma invano. Colto dal dubbio, bussò al convento e fu proprio P. Pio ad aprirgli e a dirgli: «Volevo ben vedere che te ne andassi senza assoluzione.

    Non te l’ho data perché tu sei venuto per incontrare me e non Dio». Quando risalì in auto per tornare a casa, appena girò la chiave, il motore si accese.

     

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