Mercoledì 15 marzo 2023

     

    3a settimana di Quaresima 

     

    Aforisma di Nicolàs Gòmez Dàvila

    Il tempo è temibile non tanto perché uccide, quanto perché smaschera.

     

    Preghiera del giorno

    Concedi a noi, o Signore, che, nutriti dalla tua parola e formati nell’impegno quaresimale, ti serviamo con purezza di cuore e siamo sempre concordi nella preghiera. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

     

    Santo del giorno

    Luisa nasce nel 1591 a Ferrieres e ha un’infanzia agiata. Dopo il 1604, morto il padre, viene tolta dal regio collegio e affidata a una «signorina povera» (forse sua madre), che l’avvia al lavoro.

    Sebbene lei maturi il proposito di farsi religiosa, i parenti la danno in sposa nel 1613 al segretario di Maria de’ Medici, Antonio Le Gras. I frequenti colloqui con Francesco di Sales, incontrato a Parigi nel 1618, aiutano Luisa a superare le sofferenze. Poi nel 1624, grazie all’incontro con Vincenzo de’ Paoli, diventa cofondatrice dell’Istituto Figlie della Carità.

    Nel dicembre 1625, morto il marito ed entrato in seminario il figlio Michele, accoglie in casa sua le prime giovani in collaborazione con le Dame della Carità. Era il primo nucleo della nuova congregazione, dai lei guidata fino alla morte nel 1660.

     

    Parola di Dio del giorno Matteo 5,17-19

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.

    Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

     

    Riflessione L’elmo di Alessandro di Mons. Ravasi

    Alessandro Magno incontrò alcuni Macedoni che trasportavano in otri, a dorso di mulo, acqua che avevano attinto a un fiume. Vedendo Alessandro provato dalla sete, riempirono d’acqua un elmo e glielo porsero. Egli prese l’elmo nelle sue mani ma vide che la sua cavalleria dirigeva lo sguardo alla bevanda.

    Allora la rese senza aver bevuto e, ringraziando, disse: «Se bevo solo io, i miei uomini perderanno coraggio». Il sole implacabile, il deserto, il corpo stanco, le labbra aride e gli sguardi di tanti uomini sull’elmo colmo di acqua: è da qui che nasce la forza esemplare del gesto di Alessandro Magno, narrato dallo storico greco Plutarco nella Vita di Alessandro, composta agli inizi del II sec. d.C. Due sono gli spunti che possiamo raccogliere da quest’episodio. 

    1) la fermezza del sovrano che supera la tentazione del potere insindacabile e dei suoi privilegi, e che si pone al livello degli altri, delle persone comuni. È il risultato di un rigore personale, quasi ascetico e del rispetto delle necessità comuni, è il frutto di una sensibilità e nobiltà d’animo che vince ogni egoismo.

    2) C’è, però, un altro aspetto nell’atto di Alessandro: quello della testimonianza. Se ti preoccupi solo dei tuoi vantaggi, non potrai mai essere educatore di altri. È per questo che la gente spesso non ha fiducia nei dirigenti, perché non vede in essi che la corsa all’esito personale, all’interesse privato, al privilegio. È anche per questo che tanti genitori ed educatori non incidono nell’animo dei giovani: quella che manca è la testimonianza, lezione più efficace di ogni discorso.

     

    Intenzione di preghiera

    Preghiamo per i genitori, i maestri, i sacerdoti e tutti gli educatori perché non venga mai meno in loro la forza della testimonianza e non cerchino i privilegi e i vantaggi a scapito degli educandi.

     

    Don’t Forget! Storia dei martiri cristiani

    I martiri della Birmania “Myanmar” 2.a parte

    STORIA DELLA CHIESA CATTOLICA IN BIRMANIA

    Dei 57 milioni di birmani i cristiani oggi si calcola siano da 1,5 a 2 milioni, di cui 600.000 cattolici. Abbiamo testimonianze cristiane nei grandi templi di Pagan, risalenti al 1100, 1200, 1300. Ci sono pitture antiche di carattere cristiano: una croce su un fiore di loto, un’ultima cena, la pittura di Cristo Buon Pastore o Angelo della Resurrezione.

    Una testimonianza della presenza cristiana è garantita da Ludovico di Vartema, un ligure che nel 1511 visitò questa zona e accertò la presenza di un migliaio di cristiani a Pegu, antica capitale.

    Chi erano quei cristiani? Forse indiani, ma di certo non mancavano gli armeni: gli armeni infatti dal medioevo fino a 40-50 anni fa avevano in mano la rete commerciale e bancaria di tutta l’Asia, prima dell’arrivo delle banche internazionali. Poi arrivarono i portoghesi, che non intendevano colonizzare il paese, ma stabilirvi soltanto zone e porti commerciali.

    Molti portoghesi furono anche assunti come soldati mercenari dall’esercito birmano e da quello thailandese. Uno di questi condottieri nel 1610 ottenne addirittura il permesso di costituire un suo regno nella zona dell’attuale capitale Rangoon. Per tre o quattro anni ci fu nel paese un regno cristiano, con molti portoghesi; ma un re del nord lo attaccò e lo sconfisse; molti birmani cristiani furono uccisi o deportati al nord.

    Esistono tuttora nei villaggi del nord i discendenti di questi cristiani. In seguito arrivarono i domenicani, i gesuiti, i missionari delle missioni estere di Parigi, uno dei quali venne martirizzato, chiuso in un sacco e buttato nel fiume. A inizio 1700 arrivarono i Barnabiti italiani che inventarono e stamparono l’Alphabetum Barmanum: erano riusciti persino a convertire alcuni membri della famiglia reale dell’Impero birmano.

    Ma in seguito alla rivoluzione francese molte congregazioni vennero soppresse e i Barnabiti si trovarono senza più missionari da inviare. Così la S. Sede fece ricorso agli oblati di Maria Immacolata, congregazione piemontese che inviò missionari generosi e capaci e fece ricorso alle Missioni Estere di Parigi che con il PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) di Milano furono i grandi evangelizzatori del paese.

    Con loro inizia la missione birmana moderna: nel 1834 i Missionari di Parigi si erano rivolti all’etnia dominante del paese, i birmani, buddisti, che erano circa il 60% degli abitanti. L’altro 40% apparteneva alle etnie tribali animiste. Quando i missionari del Pime entrarono in Birmania nel 1867 all’inizio della colonizzazione inglese, vista l’impossibilità di convertire i buddisti, entrarono nelle regioni tribali, contro il parere del governatore inglese che disse: “Se passate il fiume, noi inglesi non possiamo più proteggervi”.

    Il capo missione, p. Eugenio Biffi, rispose: “Siamo protetti da Gesù Cristo”. Così nacque la Chiesa del Myanmar, ancor oggi formata in gran parte da popolazioni tribali che attraverso le scuole e l’assistenza sanitaria delle missioni cristiane, hanno acquisito promozione sociale e rafforzato la loro identità etnica e culturale.

    I missionari del PIME hanno fondato una arcidiocesi e cinque diocesi (su 16), che hanno circa metà dei cattolici del paese e hanno portato nel paese le Suore della Riparazione (presenti dal 1895) e le Suore di Maria Bambina (dal 1912). (Segue)

     

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