mercoledì 24 luglio ’19

    XVI Settimana del tempo ordinario

     

     

    nell’immagine un dipinto di Gabriele Muenter

     

    Proverbio del giorno

    «L’uomo sapiente è capace di adattarsi alle sorprese della vita (Cina)».

     

    Iniziamo la giornata Pregando

    Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e salvatore e donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come egli ci ha insegnato, cresciamo nell’ esperienza del tuo amore. Per il nostro Signore…Amen

     

    Charbel (Giuseppe) Makhluf Sacerdote

    Youssef Antoun Makhlouf nacque in Libano, nel 1828. Nel 1851 entrò nell’Ordine Libanese Maronita, nel monastero di N. Signora di Mayfouq, vestì l’abito religioso e cambiò nome in fratel Charbel. L’anno successivo si trasferì al monastero di S. Marone ad Annaya, sulla montagna di Byblos, dove emise i voti solenni il 1°-11-1853. In seguito fu mandato al monastero di Kfifan dove completò gli studi teologici. Dopo l’ordinazione sacerdotale, tornò ad Annaya e, 6 anni dopo, ottenne di poter diventare eremita nell’eremo dei SS Pietro e Paolo, non lontano dal monastero. Visse in quel luogo 23 anni, digiunando, pregando e lavorando nei campi. Il 16-12-1898, mentre celebrava la Messa, fu colpito da apoplessia: morì dopo 8 giorni di agonia. È stato canonizzato da Paolo VI. I resti mortali sono venerati nel monastero di S. Marone ad Annaya.

     

    La Parola di Dio del giorno (Matteo 13,1-9)

    In quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda».

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo perché il Signore ci custodisca dal male e ci liberi dalle tentazioni

     

    Don’t forget!   I santi della carita’ -PIETRO CLAVER24

    Nato nel 1580 in Catalogna – Spagna.

    Morto nel 1654 a Cartagena de Indias – Colombia

    “Aethiopum semper servus”: all’epoca sua si chiamavano “etiopi” tutti i neri. E lui, dicendosi semper servus, si impegna a vivere solo per loro, cioè per i neri d’Africa, portati schiavi nell’America meridionale. Questo è il programma che s’impone Pietro Claver nell’aprile 1622 a Cartagena (in Colombia) nel compiere la “professione definitiva”, l’atto che segna per sempre la piena appartenenza alla Compagnia di Gesù. Nato presso Barcellona, entrò da ragazzo nel collegio dei gesuiti. All’università diretta da loro, nella capitale catalana, fece gli studi umanistici, pronunciando i primi voti nel 1604. Nel 1605-1608 studiò filosofia a Palma di Maiorca. E qui lo aiutarono le “lezioni” del portinaio Alfonso Rodriguez, un mercante di Segovia che, perduta la famiglia, prestava servizio al collegio dei gesuiti. Ma col tempo il suo stanzino diventò aula e lui maestro di spiritualità, consultato da sapienti e potenti e da giovani allievi come Pietro Claver. Che uscì da quella portineria orientato. Iniziò gli studi di teologia a Barcellona e li completò a Cartagena di Colombia dove fu ordinato prete nel 1616. Qui sbarcavano migliaia di schiavi neri, tutti giovani, che invecchiavano e morivano presto per la fatica e i maltrattamenti o per l’abbandono se erano invalidi. Tra questa umanità la Compagnia di Gesù aveva mandato i missionari; con loro, Pietro Claver conobbe il mondo della sofferenza e della disperazione; scoprì la volontà di Dio, che il portinaio di Maiorca gli insegnava a cercare: Dio voleva che egli servisse gli schiavi con tutte le sue forze, ogni giorno della sua vita. Così si ritrovò a vivere la loro sofferenza e a combatterla. Stava con loro per nutrire e per curare, imperturbabile ed efficiente anche nelle situazioni più disgustose. A questa gente che non aveva nulla, che non era nulla, insieme al soccorso offrì il rispetto. Si sforzò di risvegliare in ognuno il senso della sua dignità, senza il quale non poteva parlare di Dio e del suo amore. Imparò la lingua dell’Angola, parlata da molti e creò un’équipe di interpreti per le altre lingue. Ma si faceva capire anche col suo modo di vivere, che era quello degli schiavi più sfortunati: bastava guardarlo per dargli fiducia, credere in lui, confidarsi (e per questo gli si attribuiva il dono della “lettura delle anime”). Bastava guardarlo per condividere la devozione che predica per Cristo sofferente. Poi si ammalò, forse di peste. Sopravvisse, ma senza più forze, trascinandosi come i vecchi schiavi. Dovette sopportare i maltrattamenti del suo infermiere: un nero. Anche in queste cose bisogna scorgere la volontà di Dio. Morì a 74 anni e verrà canonizzato nel 1888, con Alfonso Rodriguez, il fratello portinaio di Maiorca.

     

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