Quando uno (italiano o straniero, giovane o adulto) senza casa, lavoro, legami, futuro…è accolto in Patronato, di norma bisogna verificare che sia disposto ad abbandonare eventuali comportamenti trasgressivi o illegali e ad accettare le regole che permettono un minimo di convivenza in un ambito comunitario. Si tratta del primo passo. A questo punto, oltre a offrirgli alloggio e cibo, si cerca di trovargli un’occupazione, di fargli riallacciare i legami interrotti e aiutarlo a ridiventare autonomo per potersi reintegrare nella società. Ed è il secondo passo che però non basta. Come verifica che il riscatto si è compiuto e che l’ospite è pronto a ripartire occorre un terzo passo che si manifesta in due modi: con la gratitudine e la restituzione. Ed è quel che è avvenuto in questi giorni dopo un anno di covid19 e nell’imminenza delle festività. Due giovani africani ai quali, col permesso di soggiorno, si è trovato anche un regolare contratto di lavoro, hanno presentato una busta con parte dello stipendio: “per i nostri connazionali che non lavorano, perché anche loro passino un buon Natale”. Il più giovane –un musulmano- dice che a suggerirglielo è stata la mamma dall’Africa e il loro gesto sta provocando una sorta di emulazione fra gli ospiti stranieri. Ecco il terzo passo, la piccola, ma fondamentale prova che ci assicura di non aver lavorato invano.
– don Davide –
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