Proverbio del giorno
Vi sono due cose durevoli che possiamo sperare di lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali.
Iniziamo la Giornata Pregando (preghiera colletta)
Padre Santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo giudice e salvatore. Egli è Dio e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Saturnino di Tolosa Vescovo e martire
Provenendo dall’Oriente raggiunse Tolosa nel 250 quand’erano consoli Decio e Grato. Nominato vescovo della città si occupò di diffondere il Vangelo visto che all’epoca in Gallia vi erano poche comunità di cristiani e le poche mal organizzate. Morì per colpa dei pagani della città poiché ritenuto capo di una pericolosa setta
Ascoltiamo la Parola di Dio Luca 21,29-33.
Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Riflessione Per Il Giorno (Origene)
“Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo, ma siano per te solo” (Pr 5,15.17). Tu che mi ascolti, prova ad avere un pozzo solo per te e una fonte solo per te; in modo che, quando prenderai il libro delle Scritture, arriverai a scoprire tu pure, da solo, qualche interpretazione. Sì, da quanto hai appreso nella Chiesa, prova a bere tu pure alla sorgente del tuo spirito. Dentro te stesso, c’è (…) “l’acqua viva” (Gv 4,10): ci sono i canali inesauribili ed i fiumi gonfi del senso spirituale della Scrittura, a meno che non siano ostruiti dalla terra e dallo sterrato. In questo caso bisogna scavare e pulire, cioè cacciare la pigrizia di spirito e scuotere il torpore del cuore. Purifica quindi lo spirito perché un giorno tu possa bere alle tue sorgenti e possa attingere l’acqua viva dal tuo pozzo. Poiché se hai ricevuto in te la parola di Dio, se hai ricevuto da Gesù l’acqua viva, e l’hai ricevuta con fede, ella diventerà in te “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).
Intenzione del giorno
Preghiamo perché i cristiani vivano questo tempo nella vigilanza e nell’attesa di Gesù
…Don’t forget!
29-11-1983: muore don Giacomo Valle, del PSV
L’ONU oggi celebra la Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese.
L’articolo della settimana – DENATALITÀ? SINTOMO DELLA CRISI DEL CAPITALISMO di Massimo Calvi
Con un tasso di fecondità sceso nel 2018 a 1,29 figli per donna l’Italia è in piena crisi demografica. Si può fare qualcosa di utile contro il crollo delle nascite? Ovviamente sì. Ma ogni sforzo deve fare i conti con una cultura che ha messo i figli fuori dall’orizzonte del dono, trasformandoli in un bene desiderato ma non primario, a volte un lusso, altre un optional. Non è un problema solo italiano, è globale. In tutto il mondo sviluppato i tassi di fecondità sono sotto il tasso di sostituzione di 2,1 figli per donna necessario a garantire la stabilità della popolazione. Ciò a cui si sta assistendo è una convergenza verso la cifra di 1,7 figli. Lyman Stone, economista americano esperto di questioni demografiche, nell’indicare questa tendenza ha parlato di un «new normal della natalità», una specie di nuovo standard equiparabile alla «stagnazione secolare» dell’economia, concetto proposto dall’ex segretario al Tesoro Usa Larry Summers. E come le banche centrali sembrano avere le armi spuntate se cercano di incidere sull’inflazione con la leva monetaria, anche i governi oggi paiono impotenti nel tentativo di contrastare il declino demografico e l’invecchiamento della società. C’è un modo diverso di guardare ai figli e lo si vede nel fatto che i tassi di fecondità sempre più ristretti stanno interessando sia i Paesi che concedono poco o nulla ai genitori, come gli Stati Uniti, sia quelli con politiche familiari avanzate, come nel Nord Europa. Le ragioni che giustificano il calo delle nascite sono molte, ma variano così tanto da sembrare scuse: la mancanza di lavoro, la carenza di nidi, la secolarizzazione, l’abitudine ai maxi-sussidi, i bassi tassi di occupazione femminile o l’eccessiva disparità di genere, i ritmi di lavoro esagerati. Tutto sembra essere cambiato con la Crisi del 2008, dopo lo scoppio della bolla immobiliare e il fallimento della Lehman Brothers, per il logoramento delle condizioni economiche, ma soprattutto a causa di quella condizione di insicurezza verso il futuro e di precarietà che si è abbattuta sulle nuove generazioni. A questi giovani che si sono trovati a fare i conti con le macerie della prima globalizzazione, papa Francesco ha rivolto diversi appelli accorati: «Abbiate il coraggio di scelte definitive», «non fatevi rubare il futuro», «abbiate il coraggio della felicità». Il problema è che chi ha “rubato” il futuro ai giovani non è in grado di restituirlo, perché sul banco degli imputati non c’è solo la generazione degli adulti, ma un’intera cultura e una visione del mondo. E a questo ostacolo sembrano riferirsi i richiami di Francesco, quando ad esempio parla di «una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, di apparenza e narcisismo». Che cosa ci ha portati a questo? Nel suo ultimo libro, “Il capitalismo e il sacro”, l’economista filosofo L. Bruni invita a riflettere sulla «devastazione umana e sociale prodotta dalla cultura-religione-idolatria» rappresentata dal capitalismo. Sotto accusa è la società dell’iper-consumo, un sistema economico e culturale che nel suo franare sembra travolgere tutto, anche gli ultimi scampoli di umanità. Sul New York Times, in una lunga analisi dal titolo emblematico, “The end of babies”, “La fine dei bambini”, Anna Sussman individua una possibile via d’uscita: «Il primo passo è rinunciare all’individualismo celebrato dal capitalismo e riconoscere che l’interdipendenza è essenziale per la sopravvivenza a lungo termine». Abbiamo condannato il comunismo, ma anche il capitalismo si sta mangiando i bambini. L’ultima “stazione” di questo “culto” che ha eretto l’egoismo a “regola di vita” sta conducendo all’estinzione della specie? Un aspetto emblematico della vicenda è che benché di figli ne nascano pochi ovunque nel mondo occidentale, tutte le ricerche indicano che le persone desiderano più bimbi di quelli che mettono al mondo. In questo “vorrei ma non posso” c’è il dramma della precarietà materiale e morale di questa epoca, perché di fronte l’uomo d’oggi ha una lista infinita di idoli da adorare e/o possedere prima e dopo la nascita di un figlio. La promessa di una vita intensa e ricca di cose, di esperienze, di libertà illimitata, può fermarsi di fronte al “limite” rappresentato da un bambino? Tutto il racconto moderno sulla famiglia è incentrato su una domanda di fondo: un figlio è l’inizio di una vita o l’inizio di una vita di rinunce? A truccare le carte, se ci pensiamo bene, è anche la dimensione iper-competitiva ingrediente principe della tensione capitalistica, e che può tradursi in ansia paralizzante quando ci si mette a pensare cosa serve a un bambino per poter vivere, ma soprattutto competere, per essere al pari degli altri. Per trovare una risposta rassicurante servirebbe una trama diversa da quella a disposizione. Nel suo ultimo libro, “Le Nuove Melanconie” (R. Cortina) lo psicanalista Massimo Recalcati porta a riflettere sul passaggio già consumato della crisi del sistema capitalistico e su quel che resta del «turbo-consumatore ipermoderno», orfano dell’illusione di non avere né limiti né confini. Il “vuoto” che è rimasto dopo questa crisi sta producendo «angoscia» e una «nuova domanda di sicurezza». Ed è in questo, scrive Recalcati, che si registra «l’affermazione di una nuova melanconia che corrompe la trascendenza vitale del desiderio, assegnando al desiderio stesso un destino di morte». Come dire: possono ancora nascere figli in una società che esprime un bisogno clinico di muri? Che sta delineando il proprio fine-vita? La cultura che ha trasformato tutto in merce, che ha reso i figli una conquista individuale, un trofeo di cui andare fieri, è diventata anche una società che non trova la forza di riprodursi, pur se ne percepisce ancora il desiderio. Il capolavoro ultimo di questo Grande Inganno collettivo è il tentativo di far apparire i figli come una delle cause della crisi ambientale. Bisognerebbe al contrario avere il coraggio di mostrare che le due crisi, quella climatica e quella delle nascite, sono prodotte dalla stessa matrice. All’origine c’è sempre l’individuo ripiegato su se stesso, che egoisticamente definisce la propria affermazione scaricando i costi del proprio benessere su qualcun altro e non accetta una revisione degli stili di vita. Forse in un mondo che corre meno, e riconosce il valore delle relazioni, ci sarà più posto per i boschi e anche per i figli. In questo senso una politica per la natalità deve scegliere se essere timida e irrilevante oppure avere la forza di affrontare una rivoluzione che è anche culturale.
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