Si era riusciti a fargli avere un permesso di soggiorno semestrale per il rotto della cuffia; si era faticato a trovargli un contratto di lavoro di 20 ore settimanali.
Lo stipendio non era male ed era sicuro, ma lui: “Devo guadagnare di più” diceva, dimenticando che nel suo paese guadagnava 10 volte meno. Fargli capire che solo un anno prima sarebbe stato destinato a vivere da clandestino e invitarlo alla pazienza non era servito a nulla. “Visto che non volete aiutarmi, faccio da solo”.
Detto, fatto. Giorni dopo disse di aver firmato un nuovo contratto di 20 ore, rifiutandosi di offrire dettagli. Stanchi delle sue pretese, ci si era limitati a raccomandargli di non perdere il primo lavoro, perché la famiglia che l’aveva assunto gli voleva bene.
I problemi sono arrivati subito: se gli orari di lavoro coincidevano, privilegiava il secondo contratto, confidando nella comprensione degli amici. Ma era lui a non capire che l’amicizia va onorata e l’ingratitudine prima o poi si paga. Stanchi delle assenze, dei ritardi, delle scuse, gli amici gli han dato il benservito.
Non solo: concluso il periodo del secondo lavoro, ha perso pure quello e ora rischia di perdere il permesso di soggiorno. Ma non ammette di avere sbagliato e dà la colpa a tutti. Eppure lo si era avvisato: chi all’ingordigia unisce l’ingratitudine, si scava la fossa da solo!
– don Davide Rota
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