Chiesa accogliente e cortese: c’è speranza

     

    Da vari anni l’ultimo sabato d’agosto un gruppo di amanti della montagna realizza un’escursione a 2.100 metri di altezza e, dopo la Messa condivide il pranzo e un po’ di relax nel magnifico scenario delle Orobie.

    Ma la pandemia prima e l’età poi ci hanno indotto ad accontentarci di quote più basse; quest’anno, causa pioggia, ci si è fermati all’ultima chiesetta del paese per la tradizionale S. Messa e il pranzo al sacco.

    Lì siamo stati accolti da un don 82enne che ha deciso di tornare a vivere nella frazioncina in cui è nato e che con l’altro prete 76enne collabora con il parroco al servizio pastorale di sette comunità per un totale di 2600 abitanti.

    Niente di strano: ormai anche per le parrocchie delle nostre montagne questa è la condizione normale. Ma non è normale che le sette chiese parrocchiali siano aperte, accoglienti, pulite e ordinate, con fiori freschi e tovaglie candide agli altari; con persone del luogo disponibili a dare tutte le informazioni necessarie e ad avvisare chi di dovere.

    Ancor meno normale coi tempi che corrono che sulla porta delle ex case parrocchiali un cartello avvisi che “Per ogni evenienza chiamare il parroco al fisso…o al cellulare…”.

    Disponibilità, cortesia, accoglienza, servizio, cura: se la nostra chiesa è così, possiamo ancora sperare per il suo e il nostro futuro.

     

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