giovedì 4 marzo ’21

     

     

    nell’immagine un dipinto di Alessandro Tofanelli

     

     

    IIa settimana di Quaresima

     

     

    Proverbio del Giorno

     

     

    Iniziamo la giornata pregando – S. Bernardo di Chiaravalle

    Inclina verso di te, o Dio, quel poco che hai voluto che io sia. Della mia povera esistenza, ti supplico di prendere gli anni che mi restano da vivere. Quanto a quelli perduti, ne provo umiliazione e pentimento. Non disdegnare i miei rimpianti. Ormai non vi è più in me che il desiderio della tua saggezza e un cuore, che ti offro. Amen

     

    BEATO DANIEL DAJANI

    allievo del Seminario di Scutari, a 20 anni entrò nella Compagnia di Gesù. Si dedicò all’insegnamento in Seminario e all’istruzione religiosa degli abitanti dei paesi in montagna. Nel 1945 venne arrestato dalla polizia del regime comunista albanese; sottoposto a torture, non perse la calma e la fede. A seguito di un processo-farsa, fu condannato a morte insieme a padre Giovanni Fausti, al francescano GjonShllaku, al seminarista Mark Çuni e ai laici GjeloshLulashi eQerimSadiku: la sentenza fu eseguita il 4-3-1946 nel cimitero cattolico di Scutari. Coi suoi compagni di martirio, è fra i 38 martiri albanesi beatificati nel 2016 a Scutari.

     

     

    La parola di Dio del giorno Luca 16,19-31

    Gesù disse: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. Lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”»

     

    Riflessione del giorno

    Dobbiamo essere liberi dalla paura. Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo da parte del potere corrompe chi ne è soggetto. Sono parole di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e agli arresti a opera del regime militare birmano, pur essendo la figlia dell’eroe dell’indipendenza di quel Paese. Queste sue parole sulla paura sono il programma della sua lotta per la libertà. La paura, infatti, è la radice di tante vergogne che si commettono. E’ per questo che Montaigne non esitava a confessare: «La paura è la cosa di cui ho più paura». La paura di perdere una carica ti vota all’adulazione, all’inganno, all’umiliazione. La paura di perdere un affetto ti spinge alla gelosia e ad atti meschini. La paura di perdere il predominio sugli altri ti rende implacabile e fin crudele. La paura di perdere la fama ti fa vanitoso e fatuo. Potremmo andare avanti a lungo in questa litania di debolezze e miserie; perciò è giusto invocare Dio affinché ci liberi da ogni paura e viltà e ci renda coraggiosi e sereni. Detto questo, però, vorrei distinguere la paura da un’altra realtà che usiamo come sinonimo: il timore. Spesso, infatti, si crede di essere coraggiosi perché non si ha più rispetto dell’altro e si diventa arroganti, insolenti, impertinenti. Se la paura può essere un difetto, il timore è una virtù. Per questo motivo nella Bibbia si legge: «Il timore del Signore è principio di sapienza» (Pr 1,7).

     

    Intenzione del giorno

    Per il popolo birmano che soffre per la feroce repressione antidemocratica e poliziesca.

     

    Don’t Forget! – Storia delle persecuzioni anticristiane

     

    LA PERSECUZIONE ICONOCLASTA

    Secoli VIII e IX

    A sinistra: Leone III Isaurico

    A destra: Teodoro Studita

    Con iconoclastia si intende la dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero bizantino, nel sec. 8° e 9°, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre. La lotta contro le immagini cominciò con le disposizioni prese nel 726 dall’imperatore Leone III Isaurico, mosso sia da considerazioni di ordine pratico immediato (togliere un argomento all’incalzante propaganda musulmana che accusava di idolatria i cristiani) sia dalla preoccupazione della crescente influenza sulle masse popolari dei monasteri e dei monaci, presso i quali si trovavano immagini a volte fanaticamente venerate. Alle disposizioni aderirono alcuni vescovi, mentre il patriarca di Costantinopoli, S. Germano, resistette e fu perciò rimosso (729). Stessa sorte toccò ai patriarchi di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme. I papi Gregorio II e Gregorio III protestarono e quest’ultimo fece dichiarare la legittimità del culto delle immagini nel Sinodo Romano del 731. In risposta, Leone III confiscò le rendite della Chiesa romana nei territori bizantini dell’Italia e ne sottopose le diocesi al patriarcato di Costantinopoli. Costantino V Copronimo, successore di Leone III, fu dapprima più prudente, ma, rafforzatosi sul trono, anch’egli fece proclamare il divieto delle immagini da un Concilio Ecumenico nel 754 tenutosi nel palazzo imperiale di Hieria a Costantinopoli. Ma il popolo e i monaci non si sottomisero…

    …nonostante le misure violente dell’imperatore (con la distruzione di immagini e reliquie e imposizione di rinunciarvi, con giuramento 764). Mitigò alquanto la persecuzione Leone IV; l’imperatrice Irene, madre e reggente del giovane Costantino VI (780-798), si rivolse a papa Adriano I (785) chiedendogli la convocazione di un concilio che a Nicea (787) definì la dottrina ortodossa riguardo le immagini. Ma la lotta iconoclasta non terminò: Leone V l’Armeno, nel 813, riprese a perseguitare il culto delle immagini: egli fu abbastanza moderato però nel reprimere il movimento iconodulo e si limitò ad arrestarne solo i capi più accaniti come l’igumeno del monastero di Studion, Teodoro Studita, che fu percosso e arrestato tre volte e infine esiliato. Le immagini rimasero proibite sotto gli imperatori Michele II e Teofilo; solo con l’imperatrice Teodora, deposto il patriarca iconoclasta Giovanni I, si ristabilì l’ortodossia (843) e si cominciò a celebrare, nella Chiesa bizantina, la ‘festa dell’ortodossia’.

    La distruzione delle icone

     

     

     

     

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