lettera di un prete di Bergamo già educatore in Seminario e docente di Teologia

    Questa riflessione è stata scritta da un giovane prete insegnante del nostro Seminario: è uno scritto prezioso che aiuta a mettere a fuoco una problematica quanto mai attuale. Ne consigliamo la lettura ai nostri lettori anche perché quanto è scritto è totalmente condiviso da chi cura questo blog.

    – don Davide – 

     

    È una sera molto difficile. Oppure una sera da cui risorgere. Le regioni hanno convocato preti e vescovi per pensare a cosa fare con i ragazzi nella prossima estate quando i genitori dovranno andare al lavoro e non ci saranno gli oratori, gli scout e l’Azione Cattolica con le loro proposte; le istituzioni pubbliche hanno sentito le Caritas per verificare il buon funzionamento delle mense e dell’assistenza ai senzatetto; i sindaci hanno chiamato i parroci per cercare di portare una parola di conforto alle famiglie dei morti di Covid a cui era negato il lutto. E i vescovi hanno dato prova di grande senso di collaborazione: hanno chiuse le chiese la sera stessa del decreto, hanno ripreso con forza i preti che non avevano capito la gravità della situazione e hanno raccomandato il massimo grado di responsabilità.

    Dalle notizie che sono trapelate in questi giorni, la Cei ha lavorato di concerto in ogni modo con politici ed esperti per una ripresa responsabile della possibilità di celebrare le eucaristie. I preti e i fedeli in questi giorni sono stati preparati: «Non sarà come prima, per un lungo periodo dovremo essere vigilanti, forse non si riuscirà ad andare a messa tutte le domeniche, ma torneremo all’eucaristia presto». Poco prima di della conferenza stampa di Conte avevo sentito degli amici che mi avevano commosso: «Ancora una domenica, poi finalmente torneremo all’eucaristia», mi hanno detto. Mamma, papà e tre bimbi.

    E invece ho assistito attonito alla comunicazione: il premier ha ringraziato la Cei presumibilmente per la collaborazione in termini di assistenza, ha detto che capisce il dolore, ma per la messa «vedremo tra qualche settimana». Poi ha dato spiegazioni precisissime su tutti gli sport, su estetisti, parrucchieri, su piccole e grandi imprese, sulle distanze per correre, su come si prenderà il cibo nei ristoranti e su quando riapriranno i bar. Ci sono date, protocolli e procedure di controllo. Ma per i politici italiani, la Cei è da ringraziare per l’assistenza nel sociale. La possibilità per quei milioni di cattolici (a cui si uniscono tutte le altre confessioni e fedi) di pregare non è nemmeno stata presa in considerazione: ha un grado di priorità inferiore alla serie A (più volte citata da Conte), alla corsetta, agli sport individuali e di squadra, agli estetisti e ai parrucchieri, alle piscine e alle palestre. Non è una priorità, se ne parlerà, «Comprendo la sofferenza per chi ha una sensibilità religiosa, ma per eventuali aperture dobbiamo interloquire con gli esperti, tra qualche settimana».

    Ci ringraziano, non siamo dimenticati; a dire il vero, come dicevo, non è stato detto il perché del grazie, però gli stiamo simpatici, suvvia! Ma ciò che succede in Chiesa non ha alcuna rilevanza: siamo rilevanti per fare i funerali in una società che non sa dire nulla di fronte alla morte, per tenere i bambini d’estate in un paese che non investe quasi nulla sull’educazione e per dare da mangiare in uno Stato che lascia indietro troppi ultimi tra gli ultimi. Questo siamo.
    Che vien da dire, per fortuna! Lo Stato lo sa bene che la Chiesa non è ricca sfondata. La polemica sull’8 per mille la fanno quelli che non ci capiscono nulla di economia e sono alla caccia delle ultime fake news. Secondo diverse agenzie, lo Stato riceve dalla Chiesa circa il 250 per cento di servizi in rapporto a quanto dà. Ma meglio dare qualche soldo alla Chiesa, che si smazza poveri, anziani e bambini. Meno problemi organizzativi e un risparmio di molti soldi. Questo siamo. I preti lo sanno bene: fino a 10 anni fa in paese c’era l’ACR o l’oratorio a fare qualcosa d’estate con i bambini, e i Comuni avevano altre cose da pensare. Meglio sganciare un po’ di lire agli oratori per occuparsi dei bambini. Adesso i centri sportivi e le cooperative sociali si sono attivati, e la torta da dividere è la stessa, ma con più persone che mangiano.
    Io me le ricordo le discussioni di qualche anno fa: «Ma i comuni capiranno che noi mettiamo cuore in quello che facciamo!». Invece no. Non interessa il nostro cuore: interessa se eroghiamo o meno un servizio. Franco Garelli usa un’espressione molto bella: parla di “caso italiano” per definire il ruolo della Chiesa. In Italia la Chiesa ha scuole, enti educativi, strutture, procedure assistenziali, organi di informazione, caso unico in Europa. Ma abbiamo sempre pensato che testimoniamo il Vangelo così: occupandoci del sociale, facendolo con stile, e desiderando che dietro traspaia il Vangelo.

    E così le vocazioni sono crollate a picco: perché un ragazzo di 25 anni dovrebbe rinunciare a tutto per diventare un operatore sociale sul mercato delle proposte? Fino agli anni ’90 avevamo più o meno il monopolio. Ma adesso? Adesso siamo un impegno tra tanti nel planning dei ragazzi. Ci specializziamo, sediamo ai tavoli, attiviamo progetti, professionalizziamo ciò che facciamo. E diventiamo sempre più esperti, ma siamo tra i tanti sul mercato della concorrenza del sociale. Abbiamo fatto sempre una pastorale “penultima”: facciamo la pizzata con il dopocresima per «avere lì i ragazzi», perché poi si finisce con la preghiera e chissà che magari a qualcuno resti qualcosa! Facciamo l’oratorio estivo perché «noi lo facciamo con il cuore» e poi glielo diciamo con i cinque minuti finali di preghiera («Che se disturbi ti tolgo i punti in classifica generale!»), e chissà che magari a qualcuno venga la voglia di capire in nome di chi lo facciamo. Portiamo gli adolescenti al mare o in montagna sperando che gli resti quel minimo di memoria che hanno fatto qualche bella esperienza da piccoli con il don e magari chissà che un giorno… Ma quel giorno non viene mai! Non si sposano, non vengono più in chiesa, non fanno battezzare i figli. Non sei un nemico! Sei “il don”. Altra questione è “il Vaticano”, ricettacolo di tutti i mali. Ma il don è normalmente una persona simpatica. Magari fossi nemico! Magari tu rappresentassi per loro una passione forte, fosse anche contraria! No: sei quello che in quell’estate in cui sono stati a Londra tre settimane con la scuola, in Grecia con la famiglia, a Berlino con gli amici, sono stati anche alla GMG, e «che bello che è stato!». Tanto quanto Berlino, la Grecia e Londra. Uno sul mercato. Niente di più. E ti ricordano come una cosa bella tra tante. C’è poi la versione meno abbiente, di chi grazie alla parrocchia è andato a fare la GMG a Madrid e ha preso per una volta l’aereo, perché a quei soldi nessuno gli avrebbe dato questa possibilità. E ti ricorda così. Con simpatia. Ma statisticamente avviene con rilevanza sempre più nulla che da cosa nasca cosa e poi uno capisca che dietro c’è il Vangelo.

    Una curiosità: ho fatto una stima spannometrica dei laureati del mio paese e con curiosità ho constatato che il numero di laureati in scienze dell’educazione, scienze della formazione primaria e infermieristica è molto simile al numero di religiose viventi che hanno fatto una vita le infermiere e le maestre all’asilo. Ci hanno presi in parola i giovani: ci imitano. Ma hanno optato per la versione laica di quello che facciamo, anche perché onestamente è quella in cui ci vedono investire più tempo. Diventiamo esausti, inseguiamo istituzioni che dovevano essere “penultime”, teniamo in piedi cose che forse erano un guizzo di genio sociale di un momento e da cui non riusciamo più a liberarci, siamo sempre più occupati.

    E questa sera in due minuti il presidente del Consiglio dei Ministri dalla cattolicissima Italia ci ha detto con spietatezza elegante che la nostra pastorale ha molto del fallimentare. Se andiamo a dire una buona parola alle famiglie che piangono ce lo permettono: in questo vuoto cosmico di valori, dove il Premier riesce a dare una minima prospettiva di senso con uno slogan imbarazzante “se ami l’Italia mantieni le distanze”, ci riconoscono che almeno di fronte alla morte siamo gli unici che provano a balbettare alcune cose. Ma l’eucaristia, ciò che per noi è il cuore, non è degno di una scadenza, almeno a pari del campionato di calcio. Avremmo capito un ulteriore ritardo. Ci mancherebbe! Se Conte avesse detto: «Il 1 giugno riapriranno le Chiese» lo avremmo condiviso. Avremmo capito delle norme rigide. Anche più rigide di quelle che pensavamo. Ma «tra qualche settimana ne parliamo» è davvero una ferita. Alla fine ci ringrazia per quello in cui investiamo la maggior parte delle energie. Ma l’eucaristia non è nemmeno un problema. Non ha più alcuna minima rilevanza pubblica. Ci abbiamo provato in tutti i modi, abbiamo fatto di tutto per fare, sperando che trasparisse il motivo. E per fortuna!

    Checché ne dicano i giornali, io sono convinto che in Italia tante persone hanno avuto un altro padre e un’altra madre oltre a quelli biologici e li abbiano trovati tra le file della chiesa, nel parroco, nel prete giovane, nel catechista, nel capo scout. Perché li abbiamo amati davvero. Non li abbiamo amati solo per farne un proselito. E continueremo a farlo. Ma qui si sta parlando di altro. Si sta parlando di progettazione pastorale. Non siamo nemmeno associati al vangelo, all’eucaristia, a Dio. Questa sera Conte ha messo la parola “fine” a una chiesa con un minimo di rilevanza sociale. Ce lo ha detto chiaramente: siamo una istituzione piena di servizi, ma irrilevante e in assoluta minoranza circa le convinzioni di fondo. Per il nostro specifico non meritiamo nemmeno lo stesso investimento di pensiero che per il jogging.
    Io non sono arrabbiato con Conte. Che ha fatto il suo lavoro. E non lo giudico politicamente. Ma dopo qualche minuto mi è passata. Forse ci ha dato un colpo mortale. Ma se si risorgesse da qui? Ci ha messo di fronte a una identità esausta e fragilissima. Ma se ci avesse anche posto nelle condizioni per dirci che forse dobbiamo iniziare a occuparci di altro. Hanno fatto bene i vescovi a fare sentire il loro disappunto. Ma Conte ci ha solo detto ciò che tutti sapevamo e che non si poteva dire: siamo diventati una piccola minoranza. Solo che ci trasciniamo dietro mille residui storici. Vogliamo iniziare a giocarci bene il nostro ruolo di minoranza?

     

     

     

     

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    5 Response Comments

    • Sac. Pietro Urbinis SDB  29/04/2020 at 17:00

      Carissimo Don,
      l’articolo è per lo meno molto interessante, ma io non ne condivido la parte centrale da ” E ” fino a ” fallimentare”, poiché credo che tutto ciò che la Chiesa, attraverso tutte le sue istituzioni, fa nel campo sociale, lo fa per realizzare una educazione integrale del ragazzo/a, giovane. Non credo si possa affermare che tutto ciò che riguarda l’educazione spirituale ( incontri di preghiera, Sacramenti, GMG , momenti di preghiera, incontri formativi, ecc.) occupino solo un posto secondario nella sua attività pastorale. Almeno per noi Salesiani questo non è vero. Per la mia esperienza di Salesiano da più di 60 anni e per aver lavorato in tante e diverse situazioni, comprese quelle missionarie ( Vietnam e Nigeria) ho sempre visto l’impegno dei miei confratelli per educare integralmente i giovani a noi affidati secondo quel metodo educativo detto preventivo lasciatoci da Don Bosco. E posso dire che anche le altre realtà ecclesiali con cui ho avuto la gioia e l’onore di collaborare, si sono sempre preoccupate di dare una formazione spirituale ( o meglio integrale) alla propria gioventù e popolazione.
      A meno che tu, caro Don, abbia voluto ironizzare in quello che dici, riportando indirettamente ciò che tanta gente pensa della nostra educazione pastorale e cristiana.
      Quanto all’Eucarestia sono pienamente d’accordo con te, perché, sempre secondo Don Bosco ” La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un istituto educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza” Inoltre “. Inoltre questo sistema poggia tutto sulla ragione, la religione e sopra l’amorevolezza”. Aggiungo, ma è sottinteso ( visto che si parla di Don Bosco), non manca la devozione a Maria.
      Quanto ad essere una piccola minoranza, l’importante che siamo o cerchiamo di essere sempre più, lievito in una società che,dimenticando Dio, non sa più che direzione prendere e che rotta seguire.
      C’è da augurarsi che Conte e il suo staff abbia un ripensamento su certe decisioni, impari ad ascoltare anche gli altri per il bene di tutti e rispetti quella libertà religiosa che è il fondamento di ogni altra libertà.
      Carissimo, Don, le auguro ogni bene e buon lavoro.
      Dio la benedica.
      Aff.mo Don Pietro Urbinis SDB

      Rispondi
    • Guido biondani  30/04/2020 at 18:35

      Non ci sono parole piu belle

      Rispondi
    • Maria Pia  30/04/2020 at 19:00

      Ringrazio per l’articolo che condivido pienamente.

      Rispondi
    • Umberto  01/05/2020 at 10:30

      Caro don Davide mi rivolgo a te perché le riflessioni del prete educatore senza nome mi colpiscono nella loro tagliente concretezza,condivido totalmente le sue amare costatazioni . I cristiani sono una minoranza utile solo per offrire servizi “sociali”rivolti agli “ultimi”dove il potere costituito non intende arrivare ,va bene così ….non è riconosciuta la “passione ” che muove queste persone, non si comprende che “dietro c’è il Vangelo “. Forse dovremmo ,noi per primi,comprendere che davanti sta il Vangelo, Siamo stati raggiunti per Grazia da Cristo e ci siamo innamorati ,spesso tradendo , del suo invito a seguirlo incontrando il suo volto la sua presenza in chi è nella sofferenza . Mi ha sempre colpito che Madre Teresa prima di andare per strada viveva con le sue consorelle ,ogni mattina almeno due ore nella invocazione a Cristo perché desse loro la consapevolezza che la loro carità coincidesse con la ricerca della sua Persona,non certo per offrire gratuitamente servizi sociali.
      Mi vergogno un po’ a rivolgermi proprio a te che vivi ogni giorno questo dramma, ti chiedo umilmente di urlarlo come sai fare tu ,che solo la sequela consapevole e concreta a Cristo presente salverà noi e chi accanto a noi, figli ,anziani, malati e poveri lo invoca ,magari senza saperlo . Ti abbraccio con gratitudine e affetto Umberto

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