mercoledì 10 luglio ’19

    Proverbio del giorno (Arabia)

    Fate con i complimenti che ricevete come si fa con i profumi: odorateli ma non inghiottiteli.

    Iniziamo la giornata Pregando

    Spirito Santo, presenza della chiesa che mi attraversi da parte a parte, tu, mia ispirazione, mio fuoco interiore, mio refrigerio e mio respiro. Tu che sei dolce come una sorgente, e bruci come il fuoco. O unione di tutti i contrari, radunaci, fa’ l’unità in noi e attorno a noi! Amen.

    Rufina e Seconda. Le informazioni sul loro martirio sono concordi. Condannate dal prefetto Giunio Donato, furono martirizzate a Roma al decimo miglio della via Cornelia. La tradizione le vuole sorelle che, fidanzate a due giovani cristiani divenuti apostati, si votarono alla verginità. Non essendo riusciti a indurle all’apostasia e al matrimonio, i giovani le denunciarono. Col loro esempio ci ricordano che in una società multi-religiosa come quella verso cui ci stiamo incamminando, le ragioni della fede sono superiori a quelle del cuore.

    La Parola di Dio del giorno Matteo 10,1-7.

    In quel tempo, chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.»

    La riflessione del giorno (s. Gregorio di Nissa)

    Quanto accade a coloro che dalla vetta di un’alta montagna guardano in basso un mare profondo e insondabile, avviene anche alla mia mente quando dall’altezza della parola del Signore, guardo la profondità di certi concetti. “Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto, né lo può vedere” (1 Tm 6, 16). Questa è la roccia liscia, sdrucciolevole e ripida, che non offre in se stessa alcun appoggio o sostegno per i concetti della nostra intelligenza. Ma vedere Dio costituisce la vita eterna. Se Dio è vita, chi non vede Dio non vede la vita. A quali strettezze è mai ridotta la speranza degli uomini! Se trovandoci pencolanti sull’abisso di queste speculazioni si accosterà anche a noi la mano del Verbo, si poserà sull’intelligenza e ci farà vedere il vero significato delle cose, saremo liberi dal timore e seguiremo la sua via. Ma purché il nostro cuore sia puro. Dice, infatti: “Beati coloro che hanno un cuore puro, perché essi vedranno Dio”.

    Intenzione del giorno

    Preghiamo per le migliaia di ragazzi che partecipano ai Cre e per i loro educatori.

    Don’t forget! Personaggio della Settimana

    Servo di dio Fratel Ettore Boschini (1928-2004)

    Un po’ matto lo era come tutti i santi, a cominciare dal fondatore del suo Ordine, Camillo de Lellis, entrato spesso in conflitto con le autorità religiose del tempo per il suo stile “scandaloso” di prendersi cura dei malati. Inevitabile, dunque, che anche fratel Ettore Boschini, 4 secoli dopo, abbia dovuto incontrare contrasti ed opposizioni nel suo originale tentativo di reinterpretare il carisma camilliano. Nasce nel 1928 a Belvedere di Roverbella, Mantova, in una famiglia di contadini agiati, rovinati dalla carestia, per colpa della quale, ad appena 10 anni, è già garzone di stalla nelle cascine altrui. Con la guerra la situazione si fa ancor più tragica, costringendolo ad andare “a giornata” dove c’è bisogno di manodopera. Finisce per lasciarsi contagiare dai vizi dei compagni di lavoro e svago e l’adolescenza è ricca di ragazze e bestemmie, tanto che gli amici inventano per lui un gioco: 30 bestemmie, 30 centesimi di premio. Si converte in modo improvviso durante un pellegrinaggio, a fine guerra, ad un santuario mariano e da quel momento la Madonna diventa l’unico amore della sua vita. Ha una salute fragile, un’ernia del disco che lo tormenta, una voglia incontenibile di consacrarsi a Dio: decide così di entrare nei Camilliani, perché “curano i malati”. Per 25 anni è in corsia: prima all’ “Alberoni” di Venezia, dove si curano le malattie ossee, poi a Predappio insieme ai malati psichici, infine a Dimaro, dove ha un crollo psico-fisico a seguito del quale deve prendere una pausa, a conferma di quanto sia sfibrante vivere a contatto con la sofferenza altrui. I superiori lo assegnano quindi alla clinica S. Camillo di Milano, senza sapere che così facendo gli fanno inaugurare una promettente e quanto mai ricca “stagione milanese”. Comincia, nei ritagli di tempo, a portare pentoloni di minestra ai barboni che hanno come punto di riferimento la stazione Centrale di Milano, ma è nella notte di Natale 1977 che la sua vita cambia radicalmente. Va al dormitorio pubblico con un po’ di panettoni e qualche bottiglia di spumante, per una festa di natale improvvisata, ma che lascia il segno e quella notte cede le sue calze e le sue scarpe a un barbone dai piedi quasi congelati e dal giorno dopo i senzatetto di Milano diventano la sua famiglia. Per loro apre il dormitorio nei sotterranei della stazione, nei locali ottenuti per concessione del capostazione. Poi si organizza e si amplia: dormitori, mense, dispensari, pronta accoglienza a Milano, Seveso, Bucchianico, Grottaferrata e, quando l’Italia non gli basta più, a Bogotà, in Colombia, perché i “poveri più poveri” ci sono dappertutto. Anche gli ambiti d’intervento si ampliano: dai barboni ai malati di AIDS, alle prostitute dell’Est, agli stranieri irregolari che devono vivere nell’ombra. Fratel Ettore è testardo nelle idee, spregiudicato nelle scelte, discutibile sui metodi. Per fortuna la Provvidenza lo toglie d’impiccio ogni volta (spesso) che fa il passo più lungo della gamba, con donazioni a volte superiori alle sue necessità. E in questi casi Ettore dà via il superfluo per le necessità del mondo, dai terremotati agli sfollati della Bosnia in guerra, in modo da restare senza un soldo in tasca. E così ricominciare il mattino dopo a confidare nella Provvidenza, insegnando ai suoi poveri a prendersi cura dei “più poveri” e portandoli anche a lavorare dove c’è un’emergenza o una calamità. Il “folle di Dio”, come viene chiamato, ha un filo diretto con il buon Dio: basta vedere come prega e come parla di Lui, anche se qualche prete milanese arriccia il naso sul suo stile liturgico o sulle sue nozioni teologiche. Fa discutere anche il suo amore per la Madonna e a qualcuno non piace il passeggiare per Milano con la statua della Vergine tra le braccia o ancorata sulla capotte della sua sgangherata auto, la sua contestazione nelle manifestazioni abortiste, l’intonar preghiere in piazza. Lo uccide una leucemia fulminante il 20 agosto 2004, senza lasciargli il tempo di creare una congregazione religiosa per dar continuità alla sua Opera. Che comunque continua a camminare così come il processo diocesano della sua beatificazione.

    Nell’immagine un quadro di Jacek Yerka

     

     

     

     

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