Quei segnali di bene che non vediamo

    Alla fine dell’incontro, si avvicina e, quasi scusandosi, mi porge un pacchetto: “Sono calzini di lana fatti da me: li metta e starà al caldo”. A casa scopro che fra i calzini c’è una bustina che la signora si è premurata di decorare, con dentro l’offerta “per i poveri”. Non mi ha detto chi era e si è schermita di fronte ai ringraziamenti: “per così poco!” ha sussurrato ed è scomparsa, lasciando il profumo di lei, della bustina disegnata, dei calzini, dell’offerta, del grazie. Insieme a un ricordo. Estate 1985: dopo 3 anni di missione, torno per le vacanze a casa dai miei genitori. La stanza è sempre la mia, ma è come se la vedessi per la prima volta, col vasetto di fiori sul comodino, le foto di noi da piccoli, i centrini sul comò, il cuscino ricamato sulla sedia…Per la prima volta mi rendevo conto che la stanza era disseminata di segnali di affetto, riguardo e dedizione; per la prima volta capivo come parlasse di una sollecitudine e una cura donate senza pretendere nulla in cambio. Dopo tre anni vissuti in una stanza – dormitorio trasandato (ero troppo occupato per averne cura), scoprivo cosa significasse vivere circondati dall’affetto cioè dalla gioia e dalla bellezza. È strano, ma a volte il bene occorre perderlo, perché ci si accorga di averlo avuto.

    – don Davide Rota –

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