Quel castello di bugie per una bici

     

    Ho trovato lavoro, ma ho bisogno di una bici elettrica perché l’azienda è a dieci km da Bergamo: ne avrei trovata una a 200 euro». L’operatore gli chiede: «Prima fammi vedere il contratto, poi parliamo di soldi».

    Il giorno dopo il giovane nostro ospite torna alla carica: «Il foglio del contratto non lo trovo più… fortuna che l’avevo salvato sul telefonino che si è rotto e il negoziante per ripararlo mi ha chiesto 100 euro». L’operatore: «No problem: portami l’impegnativa e risolviamo la cosa».

    Due giorni dopo riappare con un amico e un foglietto scritto in modo illeggibile, dove l’unica cosa chiara è il numero 50: «Cos’è questa cosa?» gli fa l’operatore e lui: «L’ha scritta il cinese del negozio: sono i 50 euro che gli devo per riavere il cellulare». «A parte che se fosse scritta in cinese sarebbe più comprensibile, non erano 100 gli euro?». «Sì – fa lui – gli altri 50 me li ha prestati questo amico e devo restituirglieli».

    Al che l’operatore rilancia: «A restituire i soldi all’amico ci pensi tu, mentre al negozio vado io a pagare: dove si trova?». Preso alla sprovvista, lui esita: «Si trova in via… ma non so il nome. Verifico e torno subito». Sono passati vari giorni e il tipo non si è più fatto vivo, ma sappiamo che rientra la sera tardi con una bici elettrica nuova.

    Noi l’avremmo anche aiutato a pagarla, se solo avesse evitato di montare tutto quel castello di menzogne. A proposito: lui non lavora affatto.

     

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