Un rito vudù in Africa, per me contagiato

    Dopo dieci settimane –di cui sette passate tra l’ospedale e la quarantena- riprende l’appuntamento con i lettori del frammento domenicale. Si tratta di un breve scritto senza pretese, che non vuol far la morale a nessuno, ma solo raccontare frammenti di vita, quella vita che, come abbiamo sperimentato in questi giorni terribili, è sempre più sorprendente della fantasia più sbrigliata. In questa “ripartenza” il doveroso ricordo va anzitutto a chi non c’è più (per noi del Patronato l’indimenticabile don Fausto Resmini); l’augurio a chi ce l’ha fatta; il grazie al mondo della sanità e del volontariato; il sostegno a chi deve prendere decisioni difficili e impopolari; la stima (l’orgoglio!) per noi bergamaschi che in questa durissima prova ci siamo dimostrati “vero popolo”; l’incoraggiamento alla chiesa chiamata ad alimentare la speranza. E proviamo a ricominciare con un sorriso: quando sabato 29 febbraio sono stato portato d’urgenza in clinica, gli ospiti africani della casa di Bergamo, spaventati, hanno deciso di fare una colletta e inviare il denaro in Africa per un rito vudù a mio favore. A questo punto insieme al Padreterno, ai medici e infermieri della clinica, ai tanti che hanno pregato per me e per tutti i malati, un doveroso ringraziamento va anche all’ignoto sciamano africano…Non si sa mai: in certe occasioni è bene tenersi buoni tutti quanti.

    – don Davide –

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