venerdì 29 maggio ’20

     

     

    nell’immagine un dipinto di Otto Mueller

     

    VIIA Settimana Tempo Pasquale

     

    Proverbio del giorno (Proverbio arabo)

    Chi non sa comprendere uno sguardo, non potrà capire lunghe spiegazioni.

     

    Iniziamo la Giornata Pregando (Charles de Foucauld)

    Venga il tuo Regno su tutta la terra, venga in ogni anima… Tutti gli uomini siano solleciti al tuo servizio, la tua grazia regni padrona assoluta in ogni anima; che tu solo agisca in ogni anima e tutti gli uomini non vivano che per mezzo di te e per te, perduti in te…Senza dubbio è la più grande felicità di tutti gli uomini che sia così: è ciò che c’è di più desiderabile per il prossimo e per me.

     

    Sisinio, Martirio, Alessandro

    I tre martiri arrivati dalla Cappadocia, furono martirizzati in Trentino. Vissuti nel IV secolo, fanno parte della schiera di evangelizzatori giunti dalle comunità cristiane del Mediterraneo per diffondere il Vangelo nella penisola. Inviati dal vescovo di Milano Ambrogio a quello di Trento, furono arsi vivi davanti all’altare di Saturno.

     

    Vangelo del giorno Giovanni 21,15-19

    In quel tempo, quando si fu manifestato ai discepoli ed ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

     

    Riflessione Per Il Giorno (Mattutino di Card. Ravasi)

    “Dio si stanca dei grandi regni, mai dei piccoli fiori”. È il verso del poeta indiano Tagore (1861-1941), cantore gioioso dell’Assoluto presente sulla strada invisibile della intuizione e nella via visibile della natura. In un’epoca in cui si ama l’eccesso, l’ostentazione, persino la demagogia, in un tempo in cui è il “fortissimo” a dominare nella musica delle discoteche, è provocatorio celebrare, ammirare, esaltare la piccolezza, l’abbassamento, la semplicità, il “pianissimo”. In un antico testo apocrifo egizio Cristo parlava così: «Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto donde siete caduti. Io vi porterò sulle mie spalle». Scrive Pozzoli: «Nell’incarnarsi di un Dio bambino, che poi prenderà le fattezze di un servo, avviene qualcosa che sommuove tutte le gerarchie umane: Dio viene a incrociare e a sentire come parte di se stesso tutti i piccoli della terra: i bambini, i malati, gli emarginati, gli impuri come i pubblicani, gli eretici come i samaritani, i senza patria, i senza nome, i senza voce». Sì, Dio si stanca dell’enfasi del fariseo, della boria del potente, dell’altezzosità del giusto ipocrita. Mai si stanca del piccolo fiore nascosto tra l’erba alta o sotto alberi maestosi. Egli «provvede il cibo ai piccoli del corvo che gridano a lui» (Sal 147, 9).

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo per i migranti di tutti il mondo, soprattutto per chi fugge dalla fame e dalla guerra

     

    Don’t forget! Vite Straordinarie: Gino Bartali (1914-2000)

    Secondo alcuni Gino Bartali è stato il più grande ciclista italiano. Altri dicono che con la vittoria del ’48 al Tour de France abbia salvato il Paese sull’orlo di una guerra civile. Spesso, di un campione, si tende a restituire l’aspetto che si preferisce: l’eroe, il vincente, l’uomo forte e imbattibile. Di Gino Bartali si deve dire anzitutto che è stato ‘Giusto tra le nazioni’, come stabilito dallo Yad Vashem il 23-9-2013 per aver rischiato la vita per salvare oltre 800 ebrei durante la 2.a Guerra Mondiale. Vent’anni fa si spegneva a Firenze Gino e non avremmo saputo nulla riguardo a questa storia se non avesse confidato al figlio Andrea quanto fatto nell’occupazione tedesca in Italia. “Il bene si fa ma non si dice”, aveva spiegato al figlio chiedendogli di raccontare la sua storia solo a tempo debito. Nel tempo si fecero avanti diversi uomini

    salvati da lui e il suo lato eroico iniziò a emergere. Il momento giusto arrivò nel 2012, quando Andrea scrisse: “Gino Bartali, mio papà'”. Nella biografia spiegava quello che è stato sintetizzato al momento dell’iscrizione all’interno del memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto fondato nel 1953, ovvero che “Bartali Gino, cattolico devoto, nel corso della occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo cardinale Elia Angelo Dalla Costa”. Quando la notizia venne fuori dopo le prime testimonianze dei salvati, Bartali si arrabbiò molto. La nipote Gioia spiegò che si infuriò perché voleva essere ricordato come un campione sportivo e non per altro. Secondo la nipote l’aneddoto restituisce l’umiltà del campione. Bartali faceva parte di una rete messa in piedi dall’arcivescovo Elia Dalla Costa che cercava qualcuno capace di correre veloce e di passare inosservato a tal punto da poter consegnare documenti con nuove identità per salvare gli ebrei nascosti dai diversi preti della provincia toscana. Un ciclista che si allenava non sarebbe mai stato controllato secondo l’arcivescovo, soprattutto se quel ciclista era uno dei più grandi campioni di sempre. Bartali accettò. Gino non aveva mai nascosto le sue antipatie verso il fascismo: dopo la vittoria del Tour del 1938 invece di ringraziare il duce, preferì ringraziare la Madonna.

    Fu anche arrestato e fermato più di una volta tra il settembre del 1943 e l’agosto del ’44. Nessuno però controllò la sua bicicletta che aveva nascosti nella canna e sotto il sellino timbri e documenti falsi per permettere ad alcuni ebrei di scappare in libertà. Resisté a 48 ore di interrogatorio e quando gli restituirono la bici, lui si rimise in sella e pedalò via. Spiegò al figlio Andrea che era il suo modo di combattere la guerra: “Io salvo le persone, se sono ebree o musulmane o di altre religioni a me non importa niente. A me interessa la vita”. Macinava chilometri di corsa tra l’Umbria e la Toscana per mettere in comunicazione il rabbino Nathan Cassutto con l’arcivescovo e gli ebrei nascosti. Raccontò al figlio di essere stato colpito da un proiettile, sparato da un soldato che lo aveva fermato per un autografo e che lui aveva eluso partendo in volata. Superò proiettili e controlli scappando così veloce che una volta finì “in una vasca di acque nere” e quando tornò a casa la moglie “lo fece spogliare fuori la porta, lo prese per un orecchio e lo infilò in vasca”. Tutto questo perché, schivo e burbero com’era, si rifiutò di raccontare delle sue attività anche alla moglie. Sarebbe stato un rischio anche per lei sapere che il marito cospirava contro il regime.

    Dopo la morte del rabbino Cassuto si nascose a Città di Castello fino a che il CLN e gli alleati non liberarono l’Italia. Bartali però non si limitò al trasporto di documenti falsi: nascose nella sua cantina una famiglia di ebrei. Questa storia venne raccontata da Giorgio Goldenberg, ebreo fiumano, che negli ultimi mesi dell’occupazione trovò rifugio grazie al campione di Ponte a Ema: “Dormivano in quattro in un letto matrimoniale: io, il babbo, la mamma e mia sorella Tea. Non so dove i miei genitori trovassero il cibo. Ricordo solo che il babbo non usciva mai da quella cantina mentre mia madre usciva con due secchi a prendere acqua da qualche pozzo”. Con Bartali c’era anche il cugino Armandino Sizzi, anche lui attivo in quel periodo, e dopo aver raccontato la storia Goldenberg concluse: “Gino e Armandino sono due eroi della Resistenza a cui devo la vita”. Ormai la carriera extra sportiva del grandissimo campione italiano è cosa nota. Alle corse attraverso i colli del Lautaret, Galibier, Croix-de-Fer del Coucheron e Granier, alle Milano-Sanremo, alle tappe dei Tour e Giri è doveroso affiancare il coraggio e il gran cuore di Ginettaccio che salvò la vita di oltre 800 ebrei con l’umile perseveranza del campione. Alla fine, come cantava Paolo Conte, siamo tutti ancora fermi ad “aspettare Bartali” convinti che da una “curva spunterà quel naso triste da italiano allegro”.

     

     

     

     

     

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