martedì 5 febbraio ’19

    4a Settimana del Tempo Ordinario

     

    nell’immagine un dipinto di Thomas Benjamin Kennington

     

     

     

     

    La Frase del giorno (don Bosco)

    L’educazione è cosa del cuore e Dio solo ne è il padrone e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne mette in mano le chiavi.

     

    Signore la sete di gioia che avvertiamo nel cuore? Chi, se non Tu, ci hai messo il desiderio di una vita piena, bella, senza fine? Grazie per averci creati per il bene, di aver fatto delle nostre esistenze una meraviglia di misericordia. Vogliamo continuare a lasciarci educare dalla comunità cristiana ad avere lo sguardo di Gesù sulla vita e siamo ancora una volta pronti ad accompagnare le persone che ci affidi nell’avventura del crescere e del vivere.Scegli (il) benesarà il nostro motto per ricordarci che sei Tu il vero Bene, Padre buono, amante della vita!

     

    AGATA vergine e martire

    a Catania, ancora fanciulla, nell’imperversare della persecuzione di Decio verso il 230 d. C. conservò nel martirio illibato il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per Cristo Signore.

     

    La Parola di Dio del Giorno (Ebrei 12,1-4 – Marco 5,21-43)

    Fratelli, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

     

    La Riflessione Del Giorno

    La frase di don Bepo è scritta all’entrata della sua tomba nella casa centrale di Bergamo ed è nota e cara a tutti gli ex-allievi che come figli hanno amato e sono stati amati dal fondatore del Patronato. Queste parole indicano qualcosa che per don Bepo era fondamentale, ma che risulta incomprensibile o addirittura stravagante per la gente del nostro tempo. Se provassimo infatti a chiederci (parlo di noi preti, educatori, volontari, benefattori, ospiti, giovani, studenti… insomma di tutta l’attuale variegata famiglia di don Bepo) quali siano le finalità del Patronato S. Vincenzo, probabilmente risponderemmo indicando: la finalità educativa cioè la formazione delle giovani generazioni; la finalità caritativa cioè dare un tetto, un posto a mensa, un lavoro… a chi non l’ha o l’ha perduto; la finalità affettiva cioè far sentire amato, accolto, compreso chi è stato condannato alla solitudine e all’abbandono; la finalità della giustizia e dei diritti umani… e tante altre. Ma forse non ci passerebbe neanche per la mente che per un cristiano la finalità ultima, la sola in grado di racchiudere, dare senso e completare tutte le altre è “portare tutti e ognuno in Paradiso” come diceva don Bepo ai suoi ragazzi e com’è scritto nella sua tomba.

    Qualche domenica fa, quando nella S. Messa ho detto che il Patronato è sorto e continua a esistere proprio per portare tutti in cielo, molti dissero di essere sobbalzati per la sorpresa. Questo stupore è il chiaro segno di come nel nostro tempo la pratica della fede cristiana e della stessa carità rischi di perdere l’orizzonte… Di come anche noi credenti – per dirla con un martire e testimone del nostro tempo, D. Bonhoeffer – siamo così impegnati nella realizzazione delle realtà penultime, da dimenticare le ultime. E realtà ultima è la volontà di Dio “che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tim 2,4); è la redenzione del mondo, la salvezza di ogni uomo e di tutti gli uomini; è la vita eterna, la comunione dei santi, il godimento di Dio. Realtà superate, antiche, non attuali?

    Tutt’altro: si tratta di una prospettiva irrinunciabile a chi vuole operare nel campo della carità, prospettiva senza la quale anche l’azione caritativa più impegnata e generosa diventa asfittica, di corto respiro e si esaurisce nel tentativo di rincorrere gli infiniti problemi che affliggono la vita di poveri e diseredati, offrendo soluzioni parziali e insoddisfacenti e non fornendo quello che in fondo desiderano – pur senza saperlo – tutti i disperati e cioè uno scopo per il quale vivere e morire. Anche perché nel confronto con la mentalità secolarizzata di oggi e con le altre religioni del mondo c’è un ambito in cui la fede cristiana può fare la differenza: quell’aldilà, quel paradiso che alla gente del nostro tempo sembra non interessare più e che per i fondamentalisti violenti e intolleranti è diventato la ragione per morire e far morire, a don Bosco, don Bepo e a tanti altri grandi educatori di giovani interessa e come. Tocca a noi, sulle orme di don Bepo, di riappropriarci del cielo e di farne lo scopo della nostra vita e attività, per restituirlo al Signore della pace e della gioia a cui appartiene di diritto e per farlo tornare ad essere la casa definitiva dei poveri e dei piccoli ai quali Gesù nel vangelo l’ha promessa in eredità.

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo perché i responsabili e collaboratori del Patronato sappiano mettere a frutto la grande eredità educativa e caritativa di don Bosco e di don Bepo.

    Don’t Forget!

    don GIUSEPPE (BEPO) VAVASSORI

    (1888-1975)

     

    Nasce il 19-07-1988 (l’anno della morte di don Bosco) a Osio Sotto, decimo dei 17 figli di Battista e Caterina Cella. Entra in Seminario a 12 anni e il 27-05-1912 è ordinato prete da Mons. Radini Tedeschi assistito da don Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII. Curato di Branzi, 2 anni dopo è nominato parroco di Trabucchello. Ma nel 1915 scoppia la 1a guerra mondiale ed è chiamato alle armi come cappellano militare: sono anni duri, in cui però don Bepo si fa notare per generosità ed eroismo. Congedato, nel 1921 è nominato parroco di Olmo al Brembo. Nel 1925 il Vescovo Marelli lo chiama in Seminario e a l’Eco di Bergamo: sceglie di abitare con le sorelle Santina e Tranquilla al Carmine in Città Alta, dove viene a contatto con il Patronato S. Vincenzo per giovani operai fondato dal conte Colleoni. Gli si chiede di farsi carico dei giovani ospitati e accetta. Il 9-10-1927 si sposta con i ragazzi in Città Bassa alla Malpensata dove in una fabbrica di laterizi abbandonata ha inizio il suo Patronato. E’ una straordinaria avventura di fede e di carità segnata dalla Provvidenza che porterà il piccolo seme iniziale a sviluppi grandiosi, tanto che alla sua morte avvenuta il 5-2-1975 a Bergamo, 50.000 ragazzi e giovani lo “chiamavano padre” e a 90 anni dagli inizi il carisma del fondatore è più che mai vivo nell’impegno dei suoi successori, preti e laici.

     

     

     

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