venerdì 3 maggio ’19

    2a Settimana di Pasqua

     

     

    nell’immagine un dipinto di Lesser Ury

     

     

     

    Proverbio del giorno (Palestina)

    Chi vuole fare qualcosa, trova sempre il modo. Chi non vuole fare nulla, trova sempre una scusa.

     

    Iniziamo la giornata pregando (Orazione colletta)

    O Dio, nostro Padre, che rallegri la Chiesa con la festa degli apostoli Filippo e Giacomo, per le loro preghiere concedi al tuo popolo di comunicare al mistero della morte e risurrezione del tuo unico Figlio, per contemplare in eterno la gloria del tuo volto. Per il nostro Signore…

     

    Filippo e Giacomo Apostoli

    Filippo, nato a Betzaida, fu tra i primi ad essere chiamato da Gesù. Spesso confuso con il diacono Filippo, al di là delle notizie forniteci dal 4° Vangelo, la tradizione su di lui non è sempre concorde. Sicuramente evangelizzò, sotto l’imperatore Domiziano, la Frigia, dove sembra sia morto crocifisso a testa in giù, come S. Pietro.

     

    Ascoltiamo la Parola di Dio (Gv 14,6-14)

    Gesù disse a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».  Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».  Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre».

     

    Riflessione del Giorno (Mattutino di Mons. Ravasi)

    Si deve porre l’interesse dello Stato sopra quelli personali. Solo così lo Stato è ben governato. Non si devono cercare pretesti per violare l’equità, né tentare sopraffazioni contro il bene comune. Uno Stato ben governato è il più grande baluardo perché, se esso è salvo, tutto si salva e se lo Stato perisce, tutto perisce. Queste parole le scriveva nel V sec a. C. il sapiente greco, Democrito di Abdera, e noi possiamo farle risuonare intatte nella loro forza ancor oggi. Passano i secoli ma la cattiva erba della corruzione, del malgoverno, dell’ingiustizia resiste a tutti i diserbanti, anzi riesce sempre a prosperare. Ricaviamo un paio di moniti da queste righe antiche. Il primo è riguarda il prevalere dell’interesse pubblico rispetto a quello privato. Per non pochi politici è una barzelletta, tanto l’arraffare è divenuto una regola che si abbraccia subito, appena si è al potere. L’ammonimento di Democrito, però, vale per tutti: quando ci si comporta male con gli altri, si inquina, si sporcano i luoghi pubblici, già si è schierati contro questo principio, anche da semplici cittadini. L’altra osservazione riguarda, invece, lo «Stato ben governato», principio di stabilità e sicurezza: «Se è salvo lo Stato, tutto si salva», dice Democrito. E qui scatta la responsabilità civica comune e la distribuzione dei compiti, senza la brama della prevaricazione o il trionfo dell’incompetenza. Illuminante un paragone di Massimo d’Azeglio: «Se le navi vanno generalmente meglio degli Stati, ciò accade per la sola ragione che in esse ognuno accetta la parte che gli compete, mentre negli Stati, generalmente, meno se ne sa, e più si ha smania di comandare». Per finire, Carlo V: «La ragion di Stato non deve opporsi allo stato della ragione!».

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo perché rimaniamo sempre saldamente uniti a Cristo vite per portare frutti di vita eterna

     

    Don’t forget!

    Personaggio della settimana:

    i santi della carità

    S. Giovanni di Dio

    (1495-1550)

    Il Portogallo diede i natali a questo grande santo della carità. Nato nel 1495 da poveri ma piissimi genitori, João Duarte Cidade trascorse una giovinezza innocente, piena di semplicità. Aveva però grande smania di viaggiare e quindi abbandonò casa e patria.  Caduto in estrema miseria, fu costretto a mettersi a servizio del conte d’Oropesa (Castiglia) e fu arruolato nella fanteria. Nella vita militare perdette l’innocenza e la semplicità della vita.  Nel 1536, mentre era in Ungheria a combattere contro í Turchi, la compagnia di Giovanni fu congedata ed egli ritorna in Andalusia, e qui fa un po’ di tutto: pellegrino a Compostela, pastore a Siviglia, venditore ambulante a Gibilterra e infine libraio, a Granada: ma questo non è un mestiere fra tanti. Lui dei libri si innamora per l’intera vita e raccomanda libri e immagini, anche come sussidio per la fede: “Che nessuno si privi di un simile aiuto: le immagini, basta guardarle per ravvivare la devozione, esse risvegliano l’attenzione, fissano i ricordi”. Ma a Granada, va a finire in manicomio. Accade nel 1539: lui ha ascoltato il futuro Giovanni d’Avila, mistico dalla parola trascinante, ed ecco che si dedica a penitenze clamorose, sicché lo credono impazzito. Finisce in manicomio e senza saperlo, imbocca la strada che mai più abbandonerà, fino alla morte: quella della sofferenza. Giovanni scopre i malati più malati, quelli di cui le famiglie si vogliono “liberare”, le vittime dell’abbandono. E arriva al punto di fingersi ancora pazzo, per rimanere lì, a vedere e capire: il suo “mestiere” saranno i malati, d’ora in poi e per sempre. Si vota a loro, crea un dormitorio per i poveri, più tardi apre un ospedale. E prende anche un nuovo nome, come chi entri in un Ordine religioso: Giovanni di Dio. Si presenta al vescovo di Granada, impegnandosi a vivere per chi soffre, insieme a quelli che vorranno fare come lui.

    Ne arrivano due e indossano un saio segnato dalla croce. Altri poi sopraggiungono, e nel 1540 nasce la Congregazione dei Fratelli della Misericordia. Insieme, essi pensano in modo nuovo ai malati e a come assisterli, organizzando l’attività infermieristica. E i rapporti con le persone che soffrono: questa è una delle novità fondamentali che i Fratelli introducono e diffondono. Lo dirà trecento anni dopo, un maestro non credente di psichiatria e antropologia, Cesare Lombroso (1835-1909): “In quanto al trattamento dei malati, Giovanni di Dio fu un riformatore, il creatore dell’ospedale moderno”. Fa sorgere un ospedale a Toledo, rischia di morire nell’incendio di quello reale a Granada (1549) per salvare i malati. E si occupa di famiglie senza padre, di studenti senza soldi, di disoccupati, di prostitute. Sembra che ogni problema nuovo lo ricarichi. Ha l’ottimismo dei marinai del suo tempo, e la fiducia che il mozzo di guardia notturna in pieno oceano esprime con la cantilena sull’ora buona che scorre e sulla prossima che sarà meglio: “Buena es la que va – mejor es la que viene”. Plasma i suoi discepoli a questo spirito, ed essi lo perpetueranno. Muore in ginocchio stringendo il crocifisso e lascia uomini della carità, armati di scienza. Moltiplicando gli ospedali, essi verranno riconosciuti, assumendo poi il nome di Ordine Ospitaliero di S. Giovanni di Dio. Oggi sono presenti in 49 stati del mondo, su continenti e isole (Filippine, Nuova Guinea, Nuova Zelanda). Giovanni di Dio non ha lasciato un libro di Regole e solo nel 1595, decenni dopo la sua morte, i suoi sistemi di assistenza e la spiritualità dell’opera sono stati fissati nella Regla y Constituciones para al Hospital de Juan de Dios en Granada. E l’Ordine da lui creato prende per sempre il nome dalle tre parole che lui ha ripetuto fino al suo ultimo giorno: “FATEBENEFRATELLI”. Da Papa Alessandro VIII fu canonizzato nel 1690.

     

     

     

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