XVA settimana tempo ordinario
Aforisma del giorno di Edith Stein
“La via della sofferenza è la più sicura per giungere all’unione con Dio”.
Preghiera del giorno di Edith Stein
Chi sei, dolce Luce, che ricolmi il mio essere e rischiari l’oscurità del mio cuore? Mi conduci per mano come madre e non mi abbandoni, altrimenti non saprei muovere un passo.
Tu sei lo spazio che circonda il mio essere e lo prende con sé. Se si allontanasse da te, precipiterebbe nell’abisso del nulla nel quale tu lo elevi all’essere.
Tu, più vicino a me di me stessa e più intimo del mio stesso intimo, eppure inafferrabile e inconcepibile, incontenibile in un nome: Spirito Santo-Amore Eterno. Amen.
Santo del giorno
S. Benedetto 480-560
È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine allo Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino.
La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco.
Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la morte, sono più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d’Europa (24 ottobre 1964).
Parola di Dio del giorno Matteo 10,1-7
In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».
Riflessione del giorno di Mons. Ravasi: Mattutino
Dopo il bacio — dall’ombra agli olmi / sulla strada uscivamo / per ritornare: / sorridevamo al domani / come bimbi tranquilli. / Le nostre mani congiunte / componevano una tenace conchiglia / che custodiva la pace.
Stiamo sempre più perdendo una virtù delicata e fragile, eppure affascinante: la tenerezza, fatta di affetto, di finezza, di dolcezza, di intensità. Essa è subito ferita dalla brutalità, dalla volgarità, dalla sbrigatività.
Soprattutto in amore, alla tenerezza si è sostituito il sesso “consumato” (il termine è emblematico) in modo frettoloso. Il dialogo degli occhi, il silenzio dell’abbraccio, la delicatezza dei sentimenti sono spazzati via dal possesso svelto e immediato.
L’eros cede il passo al sexy, la fantasia alla frenesia, le coccole alla brama, il desiderio alla voglia, l’attesa all’avidità. È per evitare questa caduta umiliante che abbiamo ripreso i versi di una poetessa che è approdata a una fine tragica forse proprio perché non ha trovato la pienezza di quel sentimento che pure aveva provato. La poesia citata, intitolata L’allodola, è di Antonia Pozzi, milanese, che si è lasciata morire a soli 26 anni.
Come ogni testo poetico, non ha bisogno di commento; deve solo cantare nel cuore di chi lo legge, con tutta la freschezza di quella virtù che stiamo celebrando, la tenerezza appunto. Una tenerezza che è tutta in quel simbolo universale ed eterno delle mani intrecciate dei due innamorati, «una tenace conchiglia» al cui interno c’è una perla di inestimabile valore, la pace. Altro che una collana o gemme preziose: la serenità e l’intimità gioiosa sono gioielli che non hanno prezzo.
Intenzione di preghiera per il giorno
Preghiamo per i monaci e le monache che popolano i monasteri benedettini, perché il buon Dio non ci privi della loro presenza, preghiera e lavoro.
Don’t Forget! Vite straordinarie: Gino Bartali
GINO BARTALI (Ponte a Ema, 18 luglio 1914 – Firenze, 5 maggio 2000) è da tutti ricordato come un grande campione di ciclismo: professionista dal 1934 al 1954, soprannominato Ginettaccio, vinse tre Giri d’Italia (1936, 1937, 1946) e due Tour de France (1938, 1948), oltre a numerose altre corse tra gli anni trenta e cinquanta, tra le quali spiccano quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia.
Fu grande avversario di Fausto Coppi, di cui era più vecchio di cinque anni: leggendaria fu la loro rivalità, che divise l’Italia nell’immediato dopoguerra (anche per le presunte posizioni politiche dei due): celebre nell’immortalare un’intera epoca sportiva – tanto da entrare nell’immaginario collettivo degli italiani – è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta d’acqua durante l’ascesa al Col du Galibier al Tour de France 1952.
Ma Bartali è stato anche, anzi soprattutto, un uomo buono sostenuto in tutte le prove, le scelte e le vicende della sua vita, anche le più tristi, come la morte del fratello Giulio, da una grande fede che non ha mai rinnegato, e che ha saputo tradurre in azione concreta.
Appartenente all’Azione Cattolica, ne ha incarnato i valori più profondi, in un momento storico, la seconda guerra mondiale e il primo dopo guerra, dove questa scelta non era certo né facile né conveniente. Durante la seconda guerra mondiale, Gino è il corriere clandestino dei documenti falsi che evitano agli ebrei la deportazione e la morte. Rischia la vita e tace quel segreto anche alla moglie Adriana, perché «il bene si fa, ma non si dice».
Gino ha salvato così la vita a più di 800 ebrei. È stato insignito per questo, dal museo «Yad Vashem» di Gerusalemme, del titolo di «Giusto tra le nazioni». Non è solo questo l’evento che lo ha reso protagonista di importanti momenti storici. Con la vittoria del Tour de France del 1948, a detta di molti, contribuì ad allentare il clima di tensione sociale in Italia dopo l’attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio.
E ancora Gino era profondamente innamorato della moglie Adriana, come traspare dalle lettere che le scriveva, dalle quali emerge un uomo romantico e dolcissimo che, seppur nell’apice del successo, scriveva di voler tornare a casa.
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