c’è bisogno di verità nella Chiesa – riflessione di don Davide Rota

     

    Non è facile rispondere a una domanda che riguarda la chiesa, la nostra chiesa:

    perché tanta gente non crede più o meglio non crede più a noi come chiesa, preti, fedeli?

    come mai una civiltà cristiana che ha resistito per secoli, si sta sfaldando sotto i nostri occhi con impressionante rapidità e senza che si possa (o si voglia) far nulla?

    come mai la maggioranza dei giovani passati al 90% dalle nostre strutture e organizzazioni cristiane, non vuole più avere a che fare con noi?

    La domanda è in fondo sempre la stessa, anche se formulata in modi diversi: le risposte possono essere mille, tutte vere e interessanti, ma quante davvero convincenti? Proviamo con umiltà a dare anche noi una risposta: la chiameremo “risposta numero 1.001” perché ha l’intenzione di offrire solo un ulteriore piccolo contributo alla riflessione su un tema urgente e drammatico per il futuro della Chiesa.

    Prendiamo spunto dalla lettera che “un gruppo di preti anonimi, fedeli e non ribelli” –così si sono presentati- ha diffuso in diocesi e nella quale essi esprimono preoccupazione nei confronti della chiesa di Bergamo e non approvano la condotta del Vescovo al punto di chiederne la rimozione. Non polemizziamo con le tematiche dello scritto, ma con il metodo: pubblicare una lettera anonima è sconveniente. Scriverla è infame. Se a scriverla e pubblicarla sono preti, la cosa è scandalosa perché se un prete crede a ciò che pensa e ne è convinto, ha il dovere:

    1) di farlo sapere all’interessato. Non all’opinione pubblica.

    2) farlo sapere mettendoci la faccia. Non in forma anonima.

    3) farlo sapere pagando il prezzo della verità senza paura delle conseguenze. O tacendo (in fondo anche il silenzio è una modalità di denuncia e contestazione). E’ il minimo che ci si possa aspettare da uno che ha scelto di seguire il Maestro Gesù Cristo (“Il vostro parlare sia sì quando è sì e no quando è no. Il di più viene dal maligno” -Mt 5,37- e “Se tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello…” -Mt 18,15-20-).

    Da uno che in S. Paolo e S. Giovanni Battista ha due straordinari esempi di parresia che è poi il coraggio di dire la verità anche davanti al potere…In altre parole anche il prete più obbediente e fedele ha il diritto di esprimere il suo pensiero, sostenerlo e difenderlo; il dovere di segnalare ciò che non va; la possibilità di contestare ciò che reputa sbagliato. Questo nella Chiesa è sempre avvenuto e se a volte ha turbato l’immagine di una comunità con un cuore e un’anima sola, ha contribuito però a mantenere vivo il dibattito, lo scambio e il dialogo cioè il servizio alla verità e alla libertà dei figli di Dio.

    Ultimamente persino qualche cardinale si è spinto a contestare pubblicamente il Papa e a chiederne la rimozione, comportamento che è sconveniente da parte di chi ha giurato fedeltà al Pontefice e che ha creato sconcerto nella Chiesa…ma almeno loro ci hanno messo la faccia. Perché il problema è questo: metterci la faccia e non solo con l’autorità di turno, ma sempre e con tutti. Metterci la faccia anche in situazioni gravi e delicate come la pedofilia di alcuni membri della Chiesa più volte accusata di ipocrisia perché ha dato l’impressione di avere più a cuore la salvaguardia della sua immagine che non la ricerca della verità, la difesa dei minori e la lotta alla perversione.

    Metterci la faccia nei rapporti fra preti, perché dietro la fraternità di facciata si nascondono a volte i lunghi coltelli con cui ci si taglia i panni addosso o le lotte per i primi posti e per mantenere situazioni di potere o di privilegio. Metterci la faccia perché la separazione tra fede e vita dei suoi pastori fa dire al popolo cristiano: “Fate quello che dicono, ma non quel che fanno”.

    Nei momenti di crisi profonda che sta vivendo la Chiesa perde sempre più posizioni, privilegi, prestigio, potere; è costretta ad ammettere i suoi peccati e a confessare le sue debolezze e a chiederne perdono. Ma proprio perché i tempi non sono facili, vanno evitate quelle soluzioni facili e indolori che il mondo adotta per risolvere i suoi problemi peggiorandoli.

    In proposito è bene ricordare quello che scriveva Dietrich Bonhoeffer quando il nazismo sembrava invincibile:

    “Abbiamo imparato l’arte della dissimulazione e del discorso ambiguo, l’esperienza ci ha resi diffidenti nei confronti degli uomini e spesso siamo rimasti in debito con loro della verità e di una parola libera, conflitti insostenibili ci hanno reso arrendevoli o forse addirittura cinici: possiamo ancora essere utili? Non abbiamo bisogno di geni, cinici, dispregiatori di uomini, strateghi raffinati, abbiamo bisogno di uomini schietti, semplici, retti. La nostra forza di resistenza interiore contro ciò che ci viene imposto sarà rimasta abbastanza grande e la sincerità verso noi stessi abbastanza implacabile, da farci ritrovare la via della schiettezza e della rettitudine?”.

    La Chiesa può permettersi di perdere tutto, meno l’obbedienza alla verità, la ricerca della gloria di Dio, l’amore incondizionato al gregge affidatogli da Gesù. Se non perde questo non perde se stessa e sarà finalmente credibile agli occhi del mondo.  

    – don Davide Rota –

     

    Bergamo, 19/06/19

     

     

     

     

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