il prigioniero che si crede libero

     

    Pressato da ogni parte affinché accetti di parlare con qualcuno dei suoi problemi, alla fine l’uomo capitola accettando il confronto, ma è evidente che non è convinto, lo fa di malavoglia, divaga e non arriva mai al dunque.

    Non ammette che è nei guai fino al collo e fa finta di non accorgersi che il filo che lo tiene unito alla famiglia sta per spezzarsi. Sostiene di avere il controllo della situazione “perché –afferma- adesso bevo molto di meno”. “In compenso ti fai di coca” controbatte la compagna. “Che sarà mai…lo fanno tutti”.

    Con uno così è meglio stare zitti. Ma il silenzio gli dà fastidio e lui lo riempie di parole: parla, parla, non la finisce mai di parlare perché è l’unico modo di impedire che qualcuno gli dica chi è per davvero.

    Ma quando, con gli occhi lucidi e la mano sul petto, inizia il melodramma: “Io sono uno spirito libero e in un mondo di servi quelli come me sono destinati a soffrire” la misura è colma.

    La donna arrossisce per la vergogna e io decido che è meglio piantarla lì: “E’ tardi e devo andare: ci risentiamo”. Che lo schiavo di tutti i vizi si definisca spirito libero è paradossale, anzi un po’ ridicolo, ma ha ragione lo scrittore colombiano Nicolàs Gòmez Dàvila quando afferma che: “L’uomo moderno è un prigioniero che si crede libero, solo perché evita di toccare i muri della cella”.

     

    – don Davide Rota

     

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