martedì 18 maggio ’21

     

    Settima Settimana di Pasqua

     

    Proverbio del giorno

    Parola e sasso quando sono lanciati non tornano indietro.

     

    Preghiera del giorno

    O Signore Gesù, insegnaci a portare la nostra croce ogni giorno e a seguirti, con volontà generosa di riparare i nostri peccati e quelli dell’umanità.

    Tu che ci hai salvato, rendici salvatori dei nostri fratelli: come tu hai dato la vita per noi, così fa’ che doniamo la vita per gli altri.

    Rendici gioiosi testimoni della tua risurrezione, e mantieni viva in noi la speranza della gioia che hai promesso ai tuoi fedeli, o Cristo Gesù, Nostro Signore.

    Amen.

     

    Santo del Giorno

    Felice Porro nacque a Cantalice (Rieti) nel 1515; giovanissimo si trasferì a Cittaducale dove prestò servizio nella famiglia Picchi come pastore e contadino.

    Nel 1544 decise di farsi Cappuccino. Dopo il Noviziato a Fiuggi, nel 1545 emise i voti nel convento di S. Giovanni Campano.

    Quindi sostò per poco più di due anni nei conventi di Tivoli e di Viterbo per poi trasferirsi nel convento romano di S. Bonaventura, dove nei rimanenti 40 anni fu questuante per i suoi confratelli.

    Ebbe temperamento mistico, dormiva appena due o tre ore e il resto della notte lo trascorreva in preghiera. Per le strade di Roma assisteva ammalati e poveri: devotissimo a Maria era chiamato «frate Deo gratias» per il suo abituale saluto. Venne canonizzato da Clemente XI nel 1712.

     

    La Parola di Dio del giorno – Giovanni 17,1-11

    Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

    Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare.

    E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo.

    Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro.

    Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi.

    Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».

     

    Riflessione del giorno

    L’incaricato dei canti nelle Messe dei giorni feriali al Patronato è un africano dalla voce tenorile, ben intonato e fedele al compito assegnatogli: di solito canta in inglese, ma ha arricchito il repertorio con vari canti in italiano e qualcosa in altre lingue.

    La sua voce sovrasta tutte le altre, ma gli altri africani hanno imparato a lasciarsi guidare da lui con risultati tutto sommato gradevoli. Di recente però un italiano, per non essere da meno o forse perché trascinato dall’entusiasmo, non appena l’africano attaccava, entrava in competizione con lui cantando a squarciagola.

    Il problema è che l’italiano è stonato come una campana e urla dal fondo della chiesa mentre l’altro, intonatissimo, si posiziona presso l’altare: in questo modo i due producevano un effetto stereo tremendo, obbligando gli altri fedeli a rimanere zitti o quasi…

    Bisognava intervenire, ma tutto si è risolto con una mossa intelligente dell’africano: rendendosi conto che il suo “competitor” non sa una parola d’inglese, ha deciso di non cantare, ma di recitare il “Santo e l’Agnello di  Dio”; ha eliminato gli altri canti in italiano e ha pescato nel repertorio inglese i brani più rari.

    Si è cimentato persino con qualcosa in latino. L’altro, sconfitto senza combattere, si fa vedere molto di meno e, quando c’è, tace del tutto.

       

    Intenzione di preghiera per il giorno

    Preghiamo per gli anziani: affinché della loro compagnia godano i bambini, dei loro consigli facciano tesoro i giovani, della loro debolezza si prendano cura gli adulti.

     

    Don’t Forget! 1000 quadri più belli del mondo

    JOSHUA REYNOLDS: AUTORITRATTO

    1748 – Olio su tela – 63,5 x 74,3 cm – National Portrait Gallery, Londra

    JOSHUA REYNOLDS nacque a Plympton, una cittadina del Devon, nel 1723, settimo figlio di un povero reverendo; morì a Londra nel 1792 e il suo feretro fu sorretto tra tre duchi, due marchesi, tre conti e due visconti.

    Fu sepolto nella cattedrale di S. Paolo. Un successo così vistoso lo aveva ottenuto sicuramente per il suo talento, ma non solo per quello. In Inghilterra aveva rivali validissimi come Hogarth, Gainsborough e Ramsay, ma, a differenza di questi, aveva perseguito fin dall’ inizio uno scopo preciso: offrire fama e celebrità ai committenti che appartenevano quasi tutti a una medesima categoria sociale, quella aristocratica e intellettuale.

    Il quadro che oggi presentiamo è un autoritratto di lui verso i 24 anni: sono proprio gli autoritratti a farci scoprire in Reynolds una costante e astuta gestione della propria immagine.

    In questo ritratto giovanile (dove l’accorta gestione del chiaroscuro fa pensare nientemeno che a Rembrandt) Reynolds si raffigura in una posa originale e confidenziale mentre con la mano alla fronte si protegge gli occhi dalla luce e cerca di vedere meglio la persona che deve raffigurare che in questo caso è lui stesso.

    Con questo ritratto il pittore mette in atto una finzione per la quale viene capovolto il rapporto fra la scena raffigurata e colui che la raffigura: il pittore con la tavolozza dei colori e i pennelli in mano cioè offre uno straordinario esempio di scena dentro la scena per cui (come già aveva fatto magistralmente Diego Velasquez in “Las Meninas”) è colui che dipinge a essere raffigurato, mentre l’oggetto del dipinto rimane esterno e –in questo caso- invisibile…

    Ma è evidente che in fin dei conti è colui che guarda il quadro (cioè noi) al quale l’artista si rivolge con il suo sguardo indagatore, obbligandoci a rispondere alla sua muta domanda: “Ma chi poi sei tu?”.  

     

     

     

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