venerdì 12 giugno ’20

     

     

     

    nell’immagine una fotografia dal Cimitero monumentale di Milano tra storia, leggende e simboli

     

     

    X Settimana del Tempo Ordinario

     

    Proverbio del giorno

    «Il mondo lusinga l’elefante e se ne infischia della formica (India)»

     

    Iniziamo la giornata pregando

    Mio Dio, vieni e trasfigura il giorno che comincia. Il mondo sia pieno della tua gloria e della tua pace, per l’azione dello Spirito Santo. Nessun uomo creato a tua somiglianza, rimanga estraneo al nuovo giorno, incredulo di fronte a tante promesse. O tu che parli agli uomini, risplendi, “brilla nelle nostre tenebre”.

     

    Maria Candida dell’Eucaristia

    Nata nel 1884 a Catanzaro, Maria visse a Palermo e a 14 anni iniziò la sua venerazione per l’Eucaristia. Rimase in famiglia per vent’anni, divenendone il sostegno. A 35 anni entrò fra le Carmelitane scalze scelta maturato dopo la lettura della “Storia di un’anima” di Teresa di Lisieux. Il distacco dalla famiglia fu straziante; i fratelli non andarono neppure a salutarla. Fu priora del monastero dal 1924 al 1947. Morì il 12 giugno del 1949.

     

    Ascoltiamo la Parola di Dio (Matteo 5,27-32)

    Gesù disse: «Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio».

     

    Riflessione Per Il Giorno (Detti e fatti dei padri del deserto)

    Un anacoreta, uomo di grande discernimento, desiderava abitare alle Celle, ma non trovava una cella pronta. Un anziano che aveva una cella vuota, venuto a conoscenza del desiderio dell’eremita lo invitò a stabilirsi in quella cella finché non ne avesse trovata un’altra. L’anacoreta vi si stabilì. Alcuni anziani del luogo cominciarono a fargli visita, come fosse un ospite e ciascuno gli portava quel che poteva. Egli li accoglieva con rispetto. Ma l’anziano che gli aveva prestato la cella cominciò a provare invidia e parlava male di lui: “Io sono rimasto qui per anni, praticando l’ascesi e nessuno viene da me e quest’impostore è qui da pochi giorni e tutti vanno da lui!”. Disse perciò al suo discepolo: “Va’ a dirgli: “Va’ via perché ho bisogno della cella”. Ma il discepolo andò dall’anziano e gli disse: “Il mio abba chiede come stai”. Quello rispose: “Digli che preghi per me perché ho mal di stomaco”. Ritornato dal maestro gli disse: “L’anziano ha detto: “Ho trovato un’altra cella e me ne vado”. Due giorni dopo disse di nuovo al discepolo: “digli che se non se ne va, lo caccio col bastone”. Il fratello tornò dall’anacoreta e gli disse: “Il mio abba ha saputo che sei malato; ne è dispiaciuto e mi ha mandato a farti visita”. Quello gli rispose: “Digli che grazie alle sue preghiere sto meglio”. Il discepolo ritornò dall’anziano e gli disse: “Ha detto: “Aspetta fino a domenica e me ne andrò”. Giunse la domenica, ma l’anacoreta non uscì dalla cella. L’anziano allora prese un bastone e partì con l’intenzione di cacciarlo via. Ma il discepolo gli disse: “Ti precedo nel caso che si trovino là altri monaci e ne restino scandalizzati”. Il giovane corse dall’anacoreta e gli disse: “Il mio abba viene a trovarti e a invitarti nella sua cella”. Vedendo l’amore dell’anziano, uscì incontro a lui e da lontano gli disse: “Vengo verso la tua santità, Padre. Non ti affaticare”. L’abba allora gettato via il bastone, corse ad abbracciare l’anacoreta e lo condusse nella sua cella. Disse poi al discepolo: “Non gli hai riferito niente di quel che ti avevo detto?”. Quello rispose: “No”. L’anziano fu pieno di gioia e capì che l’invidia veniva dal demonio e così lasciò in pace l’anziano. Poi cadde ai piedi del suo discepolo e gli disse: “Sei tu che sei mio padre ed io tuo discepolo, perché grazie a quello che hai fatto, le nostre anime si sono salvate”.

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo perché in tutti i paesi del mondo si rinunci allo sfruttamento dei minori 

     

    Don’t forget! IL RICORDO E IL RINGRAZIAMENTO

    5) MARIO GIUDICI

    Α-25 marzo 1950 a Clusone

    Ω-22 marzo 2020 a Esine (Bs)

     

    PANETTIERE E PITTORE

    Mario Giudici, pittore autodidatta e panettiere, è stato ricoverato giovedì 19/03 all’ospedale di Esine, con la febbre alta: in soli tre giorni la situazione è precipitata e il 22/3 Mario ha cessato di vivere. Nel suo forno di Endine aveva lavorato e continuato a consegnare pane alle famiglie fino a poco prima di ammalarsi. Con la famiglia viveva a Sovere: lascia la moglie Mirella e i figli Luca e Daniele. Era un ottimo pittore e l’ultima mostra l’aveva inaugurata il 30-10-2019, nell’ambito di “Molte Fedi” delle Acli, all’abbazia di S. Egidio a Sotto il Monte, con la partecipazione di Massimo Cacciari suo grande amico ed estimatore e con la direttrice dell’Accademia Carrara Maria Cristina Rodeschini incaricata di presentare le sue opere. «Dipingo da quando ero bambino, a 7 anni mi son trovato in mano una scatola di colori, dono di uno zio», aveva raccontato in un’intervista in cui accostava l’arte al suo mestiere: «Certe consistenze cromatiche ora leggere come rosette vuote, ora pesanti come certi pani di densa mollica… Esiti mai scontati».

    Che per incontrare Mario Giudici e la sua arte ci si debba recare nel suo forno e negozio di pane non è una casualità: quando si vedono i suoi quadri –senza cornice- appesi alle pareti del luogo di lavoro non si può non rimanere stupiti perché si ha l’impressione che Mario non li esibisca come mostra della sua arte o come un modo per abbellire il locale…Il primo incontro con quei quadri invece fa pensare che per dipingerli egli abbia usato gli stessi elementi con cui ogni giorno prepara il pane cioè acqua e farina, e che le loro forme e colori si ispirino alla crosta e ai cretti del pane appena sfornato. Insomma si intuisce che per Mario tra l’infornare la massa e il dipingere il quadro c’è una sorta di continuità e che egli mette in entrambi i lavori lo stesso cuore, mano e passione guidato da un solo stile e da un medesimo progetto…A Mario, uomo, fornaio, padre di famiglia, marito, pittore…a una persona così è impossibile non voler bene, perché è sincero come il pane che fa, perché ha imparato a non difendersi e a non proteggersi, perché si è sforzato di capire e tradurre in immagini quel che ha capito, perché lui vuole bene a quello che fa e a quelli che incontra, perché del mondo e dell’umanità sa cogliere il punto più alto, ma solo dopo essere sceso nel più profondo, nel cuore umano, l’unico luogo dove ancora è possibile incontrare la Verità.

     

     

     

     

     

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