mercoledì 27 febbraio ’19

    7a Settimana del Tempo Ordinario

     

     

    nell’immagine un dipinto di Christian Krogh

     

     

    Proverbio del giorno Proverbi Bergamaschi

    SOLĆ E AMÌS I È LA METÀ DE QUEL CH’I DÌS (soldi e amici sono la metà di quel che si dice)

     

    Iniziamo la Giornata Pregando (David M. Turoldo)

    “Signore Gesù, accetta me stesso per il tempo che mi resta: il mio lavoro, la mia parte di gioia, le mie ansie, la mia stanchezza, l’ingratitudine che può venirmi dagli altri, il tedio, la solitudine che mi attanaglia durante il giorno, i successi, gli insuccessi, tutto ciò che mi costa, le mie miserie. Di tutta la mia vita voglio fare un fascio di fiori, deporli nelle mani della Vergine Santa; Lei stessa penserà di offrirteli. Fa’ che possano diventare per tutti frutto di misericordia e di meriti nel Cielo”. Amen.”

     

    GABRIELE dell’ADDOLORATA. – RELIGIOSO

    Francesco Possenti nacque ad Assisi nel 1838. Perse la madre a quattro anni. Seguì il padre, governatore dello Stato pontificio, e i fratelli nei frequenti spostamenti. A 18 anni entrò nel noviziato dei Passionisti a Morrovalle (Macerata), prendendo il nome di Gabriele dell’Addolorata. Morì nel 1862, 24enne, a Isola del Gran Sasso, avendo ricevuto solo gli ordini minori. È lì venerato, nel santuario che porta il suo nome, meta di pellegrinaggi, soprattutto giovanili. È santo dal 1920, compatrono dell’Azione cattolica

     

    Ascoltiamo la Parola di Dio (Marco 9,38-40)

    Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi.

     

    BREVE COMMENTO AL VANGELO

    I cristiani stiano bene attenti a non cadere nella tentazione di ridurre la Chiesa a una setta di persone che se la contano, ma allarghino gli orizzonti a misura del vangelo, perché là dove si costruisce il bene è già presente la gloria di Dio!

     

    Riflessione Per Il Giorno (Papa Francesco: le 15 malattie della Chiesa)

    1. La schizofrenia esistenziale. È tipica di coloro che vivono «una doppia vita, frutto dell’ipocrisia del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che i titoli accademici non possono colmare». Colpisce chi «abbandonando il servizio pastorale, si limita alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con la gente e creando un mondo parallelo, ove si insegna con severità agli altri», ma si conduce una vita «nascosta» e spesso «dissoluta».
    2. Le chiacchiere e i pettegolezzi «Si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle… Guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!».
    3. Divinizzare i capi È quella di coloro che «corteggiano i superiori», vittime «di carrierismo e opportunismo» e «vivono il servizio pensando solo a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare». Sono «persone meschine», ispirate solo «da fatale egoismo». Potrebbe colpire anche i superiori «quando corteggiano i loro collaboratori per ottenere sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, con il risultato finale di una vera complicità».
    4. L’indifferenza verso gli altri «Quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo». (Segue)

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo per i bambini che nascono con gravi malattie o handicap e per i loro genitori

     

    Don’t forget! ARTICOLO DELLA SETTIMANA (Da Aletheia cattolica)

    COME COMPORTARSI CON CHI CHIEDE L’ELEMOSINA?

    Ogni giorno, lavorando nel centro di…, incontro diverse persone che chiedono l’elemosina. Anche volendo aiutarli, non potrei certo pensare di lasciare un’offerta a tutti. Qual è il modo cristiano di comportarsi? Cosa suggerisce la Chiesa?  F. F.

    Risponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia morale Facoltà Teologica Italia centrale.

    La parola greca “eleemosyne” = compassione e misericordia; inizialmente indicava l’atteggiamento dell’uomo misericordioso. In seguito, tutte le opere di carità verso i bisognosi.

    Gesù fa dell’elemosina una condizione dell’accesso al suo regno (Lc 12,32-33) e della vera perfezione (Mc 10,21). Eppure di fronte alla donna che ungeva i piedi di Gesù, quando Giuda obiettò: Perché quest’olio profumato non si è venduto per 300 danari, per darli ai poveri? (Gv 12,5), Cristo rispose: I poveri…li avete sempre con voi, ma non sempre avete me (Gv 12,8). Gesù ci dice cioè che nell’uomo ci saranno sempre delle necessità, le quali non potranno essere altrimenti soddisfatte se non col far partecipare gli altri ai propri beni. Ma Gesù pensa all’elemosina pecuniaria, materiale, a modo suo: ce lo fa capire l’esempio della vedova povera che gettava nel tesoro del Tempio due monetine. Dal punto di vista materiale si trattava di un’offerta irrisoria, ma il Cristo fa notare che la vedova, così povera, ha gettato più di tutti, perché nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere (Lc 21,3-4). Gesù cioè nota soprattutto il valore interiore del dono, la disponibilità a condividere, la prontezza a dare del proprio. Al riguardo San Paolo ricorda: Se anche distribuissi tutte le mie sostanze… ma non avessi la carità, niente mi giova (1Cor 13,3) e S. Agostino: Se stendi la mano per donare, ma nel cuore non hai misericordia, non hai fatto nulla; se invece nel cuore hai misericordia, anche quando non avessi nulla da donare con la tua mano, Dio accetta la tua elemosina.

    E’ questo il nucleo centrale del problema. Nella Sacra Scrittura e secondo le categorie evangeliche, elemosina significa anzitutto dono interiore, apertura «verso l’altro». Proprio tale atteggiamento è un fattore indispensabile della conversione, così come lo è la preghiera. Sempre S. Agostino esprime bene questo intreccio: Quanto celermente sono accolte le preghiere di chi opera il bene! E questa è la giustizia dell’uomo nella vita presente. L’elemosina così intesa ha un significato decisivo. Per convincersene, basta ricordare il racconto del giudizio finale nel Vangelo di Matteo (cf. Mt 25,35-40). I Padri della Chiesa diranno poi con S. Pietro Crisologo: La mano del povero è il gazofilacio (= la cassetta delle offerte che c’era nel tempio) di Cristo, poiché tutto ciò che il povero riceve è Cristo che lo riceve. E con S. Gregorio Nazianzeno: Il Signore di tutte le cose vuole la misericordia, non il sacrificio; e noi la diamo attraverso i poveri. «Pertanto, questa apertura agli altri, che si esprime con l’aiuto, con il dividere il cibo, il bicchiere d’acqua, la buona parola, il conforto, la visita, il tempo prezioso, ecc., questo dono interiore offerto all’altro uomo giunge direttamente a Cristo, direttamente a Dio. Decide dell’incontro con lui. È la conversione…L’elemosina secondo il Vangelo, secondo l’insegnamento di Cristo, ha nella nostra conversione a Dio un significato definitivo, decisivo. Se manca l’elemosina, la nostra vita non converge ancora pienamente verso Dio» (S. Giovanni Paolo II). Certo chi chiede l’elemosina non deve truffare, non può essere arrogante o violento. L’elemosina non può essere estorta, ma deve essere un’opera di misericordia, ispirata dall’amore per il fratello. Le persone che incontrano gli indigenti devono sempre ricordare il significato essenziale che l’elemosina ha di fronte a Dio e imparare a discernere per evitare ciò che falsifica il senso dell’elemosina, della misericordia, delle opere di carità. Al riguardo è molto importante coltivare la sensibilità interiore verso i bisogni reali del prossimo, per sapere in che cosa possiamo aiutarlo, come agire per non ferirlo, e come comportarci, affinché ciò che diamo, fosse anche soltanto un sorriso perché il Signore sa che non siamo in grado di farci carico di tutti i poveri che potremmo incontrare, sia un dono autentico.

     

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