mercoledì 4 novembre ’20

     

     

    30.a settimana tempo ordinario

     

    Proverbio del giorno

    L’esempio degli antenati è come una bisaccia per il giovane viandante. (Egitto)

     

    CARLO BORROMEO

    Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, Lago Maggiore, era il 2° figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo di Milano, diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all’interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un’opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentato. Durante la peste del 1576 assistette personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584.

     

    La Parola di Dio del Giorno Lc 14,25-33

    Una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

     

    La Riflessione del giorno (Alberto Caprotti – Avvenire)

    «Preferisco i mascalzoni agli imbecilli, perché ogni tanto si concedono una pausa…». Ai tempi di Alexandre Dumas, autore di questo pensiero senza scadenza, non esistevano i monopattini elettrici, e neppure le biciclette. Quelle pubbliche, noleggiabili senza riconsegna allo stallo intendo, che vanno molto di moda nelle nostre città. E che resterebbero un meraviglioso sistema di mobilità ecologica e condivisa, se solo non esistesse una percentuale di imbecilli che ne abusa. Vandalizzare una bici dopo averla usata solo perché non è nostra, oppure abbandonarla davanti a un cancello o nel mezzo di un marciapiede, come accade di vedere spesso, segna il confine tra ciò che siamo e ciò che meritiamo. L’uso disgiunto dal possesso è un lusso che dovrebbe essere riservato solo a chi sa conservarlo con cura e cautela. Invece la crescita del tasso di cafoneria, paragonabile solo a quella del nostro debito pubblico, è il prezzo che stiamo pagando per aver rinunciato al dovere di dare buoni esempi. Schivare una bici sbattuta di traverso per strada limitandosi a scuotere la testa di fronte alla villania altrui, ci rende quasi complici: rimetterla in piedi e accostarla a un muro dove non possa intralciare, resta invece l’unica forma di difesa possibile. Non basta a redimere l’imbecille, ma almeno libera il passo a chi ancora crede che il mondo si possa cambiare.

     

    L’intenzione del giorno

    Per i militari e civili caduti in tutte le guerre in Italia e nel mondo.

     

    Don’t Forget!

    Oggi si celebra la Giornata dell’Unità Nazionale e Forze Armate istituita nel 1919 per commemorare la vittoria italiana nella 1.a guerra mondiale, evento bellico considerato completamento del processo di unificazione risorgimentale. La data del 4 novembre ricorda l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti e la resa dell’Impero austro-ungarico.

     

    I santi della Carità 

    s. Giacinta Marescotti – 1585-1640

    Sogna un marito, non il convento. Si chiama Clarice, è bella e ha sott’occhio un giovane marchese Capizucchi, buon partito per la figlia del principe Marescotti dell’alta aristocrazia romana. E il principe, infatti, gli dà volentieri in moglie una figlia, ma non è Clarice, bensì Ortensia, la più giovane. E Clarice diventa il flagello della casata, insopportabile per tutti. Una delusione così può davvero inasprire chiunque, ma forse le accuse sono gonfiate per giustificare la reazione del padre, che nel 1605 la fa entrare nel monastero di S. Bernardino a Viterbo, dalle Clarisse, dove c’è già sua sorella Ginevra. Qui lei prende il nome di Giacinta, ma sceglie lo stato di terziaria che non comporta clausura stretta. Vive in due camere ben arredate e partecipa alle attività comuni.

    Per 15 anni tira avanti così: una vita “di molte vanità et sciocchezze nella quale ero vissuta nella sacra religione”. Parole sue di dopo. C’è un “dopo”, infatti, una profonda trasformazione interiore, dopo una grave malattia e alcune morti in famiglia. Per Giacinta cominciano 24 anni straordinari e duri, in povertà totale e di continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie sorprendenti. Dalle due camerette raffinate passa a una cella e vive di privazioni: ma al tempo stesso compie un’opera singolare di “riconquista”. Personaggi lontani dalla fede vi tornano per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto a malati e poveri, un aiuto che Giacinta vuole sistematico, regolare da persone fortemente motivate. Questa mistica si fa organizzatrice di istituti assistenziali come quello dei “Sacconi” (dal sacco che i confratelli indossano nel loro servizio) che aiuta poveri, malati e detenuti e che continuerà fino al XX secolo. E come quello degli Oblati di Maria, chiamati a servire i vecchi. Nel monastero che l’ha vista entrare delusa, Giacinta si realizza con una totalità mai sognata, anche come stimolatrice della fede e maestra: la vediamo infatti contrastare il giansenismo nelle sue terre, con incisivi stimoli all’amore e all’adorazione per il sacramento eucaristico. Non sono molti quelli che la conoscono di persona. Ma subito dopo la sua morte, tutta Viterbo corre alla chiesa dov’è esposta la salma. E tutti si portano via un pezzetto del suo abito, sicché bisognerà rivestirla tre volte. A Viterbo lei resterà per sempre, nella chiesa del monastero delle Clarisse, distrutta dalla guerra 1940-45 e ricostruita nel 1959. La sua canonizzazione sarà celebrata da Pio VII nel 1807.

     

     

     

    Condividi questa!

    Informazioni sull'autore

    Potrebbe piacerti anche

    Nessun commento

    È possibile postare il commento di prima risposta.

    Lascia un commento

    Please enter your name. Please enter an valid email address. Please enter a message.

    WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com