… intervista a Maria – don Marco Perrucchini

    Carissimi,

    la comunità cristiana invita a vivere gli ultimi giorni dell’Avvento in modo più intenso. 

    Mi permetto di rivolgervi  oggi con questo mio piccolo scritto. E’ una specie di intervista a Maria. 

    Spero possa confermare il vostro impegno educativo! 

    Con gratitudine profonda per ciascuno di voi, vi auguro già da ora un Natale semplice e autentico,

    don Marco  

     

    Mi fermo un attimo qui, accanto al presepe… posso? Da tanti anni leggo i brani del vangelo che parlano di te, Maria: della tua gravidanza a Nazareth, del tuo parto a Betlemme, dei pastori e dei Magi, degli anni della vita ordinaria in Galilea… Quando mi soffermo di nuovo su quei testi come in questo periodo, appaiono aspetti inediti, angolature ancora non colte. Da quando poi la storia mi ha regalato di accompagnare simili tappe di vita in persone care, ogni volta che rileggo questi passi del vangelo sento altre nuove risonanze, colgo nuovi rimandi. Ti si invoca come “Madre di Dio”, “Madre della Chiesa”… Stasera, mi piacerebbe contemplarti come “madre”. Anzi, vorrei chiederti di scoprire un po’ meglio che cosa ha voluto dire per te l’esperienza della maternità.

    Volentieri! Essere “madre” ha caratterizzato tutta la mia vita: non solo a Nazareth o a Betlemme, ma anche dopo, molto dopo: ai piedi della croce e con la Chiesa della Pentecoste! E mi piace condividere la ricchezza di questa mia esperienza, come facevo ad Efeso con i primi seguaci di Gesù, con Luca l’evangelista…

    Grazie di cuore, Maria! Dimmi, quale è il primo aspetto che esprime il tuo essere madre?

    “dare tempo”: sembra addirittura un’osservazione banale. La prima cosa che ogni madre è chiamata a fare è dedicare del tempo: nove mesi. E’ il primo compito e il primo allenamento per generare vita: regalare del proprio tempo. L’esperienza della gravidanza mi ha insegnato che “attesa” non è passività, ma attivazione, energia, fermento… Mi ha insegnato a contare le settimane, ad avere pazienza. E così ho intuito pian piano che essere madre significa anche “darsi del tempo”. Anch’io ho dovuto imparare tante cose: dall’avvolgere in fasce… al cercarlo quando si era smarrito a Gerusalemme, dall’essergli accanto nel silenzio dei lunghi anni di Nazareth all’ascolto delle sue parole affascinanti e inedite a Cafarnao.

    Quanto tempo ci è voluto per capire?

    Tanto. Qualche tempo fa, uno scrittore cristiano ha detto di me che ho colto la ricchezza e la verità profonda della mia identità e del mio ruolo solo nella Pentecoste, quando lo Spirito santo ha riempito me e tutti gli amici di mio figlio Gesù. Mi ritrovo pienamente in questa intuizione: solo alla fine, ho compreso il senso pieno della vita! Solo alla fine tutto di sé e degli altri prende luce! Alla fine ho scoperto che, per generare vita, è decisivo un altro aspetto: “dare spazio”!

    All’inizio è stato il mio corpo che si è lasciato plasmare da questa nuova vita in me… poi la mia casa, gli equilibri di coppia hanno dato spazio alla presenza di una nuova esistenza. Ma più ancora la mia testa si è allenata a “dare spazio” all’altro che avevo messo al mondo. Quando Gesù con le sue scelte e le sue parole ci ha spiazzati, sono stata “madre” lasciando spazio al suo stile che non capivo. Quando le tensioni attorno a lui e le ostilità crescevano, ho dato spazio al suo cammino di autenticità, fidandomi della sua fiducia.

    “Dare spazio” ha voluto dire per me lasciare che mio figlio fosse altro rispetto ai miei sogni, alle mie aspettative. Ha voluto dire non trattenere, neanche per proteggere…

    Ora so che “dare spazio” non solo genera vita altrui, ma allarga anche il proprio cuore, dilata i propri orizzonti: ha generato e rigenerato me stessa!

     C’è un gesto, che più di altri, rappresenta il tuo essere madre?

    “tenere in braccio” il piccolo Gesù fragile appena nato, come poi Gesù fragile appena morto. Il vostro Michelangelo aveva capito benissimo che lì ero madre: nella Pietà, mi ha scolpita con il volto da ragazzina, da giovane mamma… Essere madre significa prendersi cura, prendere in braccio appunto, chi è più fragile.

    Grazie per queste confidenze, Madre. Grazie per la condivisione della esperienza stupenda ed unica!

    Grazie a te, per la possibilità di questo scambio… ma permettimi di non essere d’accordo con te. La mia esperienza non è unica! La mia maternità rivela qualcosa di me… e di ogni uomo! Chiunque può essere “madre”! Chiunque può generare vita e permettere che altri crescano e diventino uomini, più uomini!

    Ogni volta che entri nella logica del “dare tempo”, “dare spazio” e “tenere in braccio” chi è più fragile anche tu puoi essere “fratello, sorella e madre!”

     

    – don Marco Perrucchini –

     

     

    nell’immagine la natività  dipinta da Arcabas

     

     

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