martedì 10 marzo ’20

     

    nell’immagine un dipinto di Jozsef Rippl Ronai

     

    frase del giorno

    Coraggio, popolo mio, tu, memoria d’Israele!

    Baruc 4,5

     

    iniziamo la giornata pregando

    “Contempla, o anima mia, Isacco offerto in olocausto, contempla il nuovo Isacco legato sul legno della croce, nuova vittima offerta in mistero per il peccato del mondo. Signore, tu non hai ignorato il sacrificio di Isacco, accogli in sacrificio il mio spirito affranto, poiché tu non disprezzi un cuore affranto e spezzato”. Guarda le mie mani legate dal peccato e il legno della maledizione sulla mia schiena, a frenare il mio cammino verso di te. Ti rendo grazie, o mio Salvatore, poiché il coltello s’era avvicinato alla mia gola e per il tuo sacrificio. Agnello senza macchia, tu hai allontanato da me la condanna.

     

    + Dal Vangelo secondo Matteo 23,1-12

    In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

    Parola del Signore.

     

    Meditazione sul Vangelo di Mt 23,1-12

    Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli.

    Nel vangelo troviamo spesso il resoconto delle invettive di Gesù contro i capi del popolo. Accogliere Gesù Cristo come Figlio di Dio esige la conversione del cuore e l’amore per la verità. Chi è chiuso nella sua ipocrisia, nella logica del potere o del profitto, in una religione formale che non vive nella fede, non può vedere in Gesù Cristo il sacramento del Padre, cioè l’unico rivelatore di Dio. Un’invettiva di Gesù contro gli scribi e i farisei non può essere letta solo come un invito alla coerenza, alla corretta condotta di vita, perché faremmo di Gesù solo un altro moralizzatore. La sua non è tanto una minaccia quanto un lamento: «Poveri voi, scribi e farisei!». Abbiamo l’eco dei lamenti di Dio per il suo popolo che non ha ancora imparato a ricercare la giustizia di Dio. Il suo é un grido che chiama alla conversione, che invita ad uscire dagli schemi del perbenismo per entrare in quelli del vero bene che è Dio in mezzo a noi. Ecco allora che sarà logico per il discepolo non cercare onore, stima (farsi chiamare “rabbì” o “padre”) con il rischio di far diventare il proprio servizio alla comunità umana ed ecclesiale solo un modo diverso per avere successo. La logica del discepolo è quella della croce, di quell’abbassamento che ricerca solo nella gloria di Dio il suo vanto.

     

    il santo del giorno – San Macario

    Il suo nome, Macario, significa “felice”, “beato”. Ma ci sono ignote la sua famiglia, il luogo di origine e buona parte della sua vita. Lo conosciamo soltanto come vescovo di Gerusalemme, la città che è santa per gli Ebrei come luogo dell’unico Tempio innalzato all’unico Dio, e per i cristiani, come luogo della crocifissione e della risurrezione di Gesù Cristo. Ma, all’epoca di Macario, Gerusalemme non c’è più. Già nell’anno 70, dopo aver schiacciato un’insurrezione antiromana, il futuro imperatore Tito aveva distrutto il Tempio. Nel 135, poi, dopo un’altra rivolta al tempo dell’imperatore Adriano, la città stessa è stata rasa al suolo, perdendo anche il nome: sulle sue rovine è sorta infatti una colonia romana chiamata Aelia Capitolina, col suo Campidoglio costruito sul luogo della sepoltura di Gesù.
    Macario vive come vescovo un momento importantissimo. Dopo l’ultima persecuzione anticristiana, ordinata e poi disdetta dall’imperatore Galerio (anni 305-311), i suoi successori, Costantino e Licinio, danno ai cristiani piena libertà di praticare la loro fede, di celebrare il culto, di costruire chiese.
    È la “pace costantiniana” estesa a tutto l’Impero, e dunque anche a Gerusalemme, dove Macario si mette al lavoro; ottiene dal sovrano il consenso per abbattere il Campidoglio, e così fa tornare alla luce l’area del Calvario e del Sepolcro. Su di essa sorgerà più tardi la basilica grandiosa della Risurrezione. Qui verrà in pellegrinaggio anche Elena, la vecchia madre di Costantino, prima di una serie infinita di pellegrini.
    Negli stessi anni c’è nel mondo cristiano un’aspra divisione, provocata dalla dottrina del prete libico Ario, sulla natura di Gesù Cristo. Macario, da Gerusalemme, si oppone subito alla dottrina ariana, e interviene poi nel maggio del 325 al Concilio celebrato a Nicea (presso Costantinopoli), dove viene confermata la dottrina tradizionale.
    Si ritiene anzi che il vescovo Macario sia stato uno degli autori del “Simbolo niceno”, ossia del Credo che ancora oggi pronunciamo nella Messa, professando la fede “in un solo Dio, Padre Onnipotente” e “in un solo Signore, Gesù Cristo… Dio vero da Dio vero”.

     

     

     

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